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di Elisa Sola

La Repubblica, 26 marzo 2024

Dopo il suicidio di un giovane al carcere Lorusso e Cutugno di Torino, torna di tragica attualità il nodo delle residenze per carcerati con problemi di salute mentale. L’allarme sulle condizioni dei detenuti che hanno problemi psichiatrici è stato lanciato non soltanto dalle associazioni, dai garanti e, più volte, dagli avvocati, ma anche dai magistrati. Alcuni mesi fa, al Palagiustizia di Torino, giudici e pm hanno organizzato un convegno per ribadire un concetto fondamentale: “I malati psichiatrici in carcere non dovrebbero nemmeno entrarci”.

Lo avevano spiegato, con queste parole, le giudici Immacolata Iadeluca e Giulia Maccari, ricordando che dentro gli istituti penitenziari accade anche che, persone soltanto “semi” inferme, “sviluppino vere patologie” stando dietro le sbarre. Susanna Marietti dell’associazione Antigone aveva ricordato: “Quello che ho visto dentro al carcere di Torino è la violazione della dignità delle persone e la creazione della disperazione. C’è una responsabilità di sistema, e non solo. Meno del 3 percento del budget del sistema sanitario nazionale è destinato alla salute mentale. E se c’è’ stata una sentenza della corte costituzionale che ha salvato il sistema delle Rems, le ha salvate soltanto perché altrimenti non c’era altro di meglio”.

Ma le Rems, le Residenze per le misure di sicurezza, che ospitano i detenuti con problemi psichiatrici, in Piemonte sono solo due (a Bra e a San Maurizio Canavese) e comunque sono piene. “Ci sono centinaia di persone che aspettano di essere ricoverate in Italia, dai 200 ai mille”, aveva stimato Marietti. Continuano ad aspettare.

Se la Costituzione e le leggi stabiliscono che nessuna persona incapace di intendere e di volere, e bisognosa di cure, debba essere reclusa, come mai accade il contrario? Lo aveva spiegato la pm Lisa Bergamasco, dopo avere premesso: “Carcere e malati psichici sembrano un ossimoro, perché a rigore e in teoria i malati psichici in carcere, nella maggior parte dei casi, non dovrebbero starci”. “I malati psichiatrici entrano in carcere perché c’è stato un arresto o è stata chiesta una misura”, aveva precisato ricordando cosa prevede la procedura. “Dopo la consulenza psichiatrica - aveva detto - se la valutazione del consulente va nel senso della sussistenza di profili di pericolosità sociale contenibile solo con una misura di sicurezza detentiva, si apre il baratro delle Rems, perché i mesi di lista d’attesa sono incompatibili con l’urgenza di contenere la pericolosità sociale”.

A rendere tutto ancora più complicato è il fatto che spesso gli arrestati malati vengono da contesti familiari fragili. “Molte volte i maltrattamenti sono commessi da figli con problemi psichici o psichiatrici a danno dei dintorni, che magari da tutta la vita se ne fanno carico”, aveva detto Bergamasco. Ed è esattamente il caso di Fabrizio Nunez Sanchez, l’ennesimo detenuto suicida in carcere.

Le Rems, che sono amministrate dal Dap, Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, hanno sostituito i manicomi giudiziari. Vengono chieste nel caso di vizio totale di mente e della “elevata pericolosità, contenibile solo attraverso una misura detentiva”. Non costituiscono, secondo quanto emerso al convegno, la soluzione ideale per chi ha un problema di salute mentale. Ma sono quanto meno la soluzione che fa meno male a chi soffre di patologie gravi, e al tempo stesso sono in grado di salvaguardare la comunità dai detenuti socialmente pericolosi. Ma le Rems, poche e sempre piene, sono un’utopia. “Quindi - aveva concluso la pm Bergamasco - va a finire, spesso, che l’indagato resta in carcere come un internato, sino a che non si libera un posto”.