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di Massimo Massenzio

Corriere di Torino, 14 agosto 2023

Le autopsie sui corpi di Susan e Azzurra, le due detenute morte venerdì nel carcere di Torino, di certo non serviranno a fare luce sui loro drammi interiori. Potrebbero però fornire preziosi elementi per capire che cosa è successo in quelle 14 ore che hanno scosso dal profondo la casa circondariale Lo Russo e Cutugno.

Due storie molto diverse quelle di Susan John, 42 anni, cittadina nigeriana residente a Torino, in cella dal 22 luglio e Azzurra Campari, 28enne della provincia di Imperia trasferita al Lorusso e Cotugno lo scorso 29 luglio. Ad accomunarle c’è però la vicinanza temporale dei decessi e il fatto che siano avvenuti entrambi nell’articolazione per la tutela della salute mentale della sezione femminile. Si tratta di un’area a sorveglianza aumentata dove sono previsti controlli sanitari quotidiani.

Le stanze sono quattro e quella di Susan era vigilata anche attraverso le telecamere. La 42enne nigeriana rifiutava cibo e acqua da 18 giorni e, lo scorso 4 agosto, dopo un malore e il conseguente intervento del 118, aveva negato anche il consenso al ricovero d’urgenza. Non ha mai inscenato proteste e l’unica richiesta avanzata durante le tre settimane di permanenza in cella riguardavano la possibilità di un incontro con il marito e il figlio di 3 anni e mezzo.

Susan si è lasciata morire, ma l’autopsia dovrà chiarire se a stroncare la donna, che era alta 167 centimetri e pesava 80 chili, possa essere stata un’aritmia dovuta alla mancata assunzione di liquidi. “Aspettiamo l’esame autoptico - ha commentato il suo difensore Wilmer Perga -. Ma mi chiedo come sia stato possibile arrivare fino a questo punto”

È la stessa domanda che continua a porsi anche l’avvocata Marzia Ballestra, che ha seguito Azzurra dopo la morte del suo primo difensore: “La mia cliente era molto affezionata a lui e la sua scomparsa è stato un altro duro colpo, dopo le tante sofferenze che ha dovuto affrontare nella sua breve vita. Aveva un passato difficile alle spalle, ha commesso diversi sbagli e il carcere aveva acuito le sue fragilità, che erano state comunque comunicate all’autorità penitenziaria. Ancora oggi, però, non conosco il motivo per cui la mia cliente sia stata trasferita da Genova a Torino, ma i suoi familiari erano certi che, quantomeno, sotto la custodia dello Stato sarebbe stata al sicuro. Probabilmente per una valutazione di carattere psichiatrico che avrebbe certificato la sua incompatibilità con il regime carcerario. Era una ragazza dolce, a cui era facile voler bene “

La stanza di Azzurra non era dotata di impianto di videosorveglianza, ma era comunque monitorata. Quando la 28enne di Imperia ha deciso per la seconda volta di togliersi la vita (il primo tentativo di suicidio l’aveva messo in atto fuori dal carcere) si trovava da sola. E deve aver impiegato parecchio tempo per confezionare il complicato cappio realizzato (probabilmente) con i pochi indumenti che le erano stati lasciati addosso, che poi ha utilizzato per impiccarsi.

Per il momento la procura ha aperto due procedimenti distinti per istigazione al suicidio, senza indagati, un’ipotesi di reato che permette l’esecuzione degli esami autoptici che verranno assegnati e (quasi certamente) eseguiti nella giornata di oggi. Le inchieste, affidate alle pm Delia Boschetto e Chiara Canepa, dovranno appurare se sia stato fatto tutto il possibile per evitare il decesso di Susan John e il suicidio di Azzurra Campari.