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di Pietro Caccavo

La Voce e il Tempo, 4 novembre 2023

Una sera, a teatro, arrivi nel salone del carcere della tua città. Per scoprire che oltre quelle mura c’è un mondo che merita di essere conosciuto meglio. È successo a Torino, a fine ottobre, alle Vallette, nel teatro della Casa circondariale Lorusso e Cutugno per lo spettacolo “Finestre” che in quattro serate di repliche ha registrato il tutto esaurito: trecento presenze (con una richiesta di più di 400 altre persone, in lista d’attesa, per ora non accontentate).

Una performance nata dal laboratorio teatrale annuale condotto dalla compagnia Teatro e Società, con la scuola sui Mestieri del Teatro, nell’ambito del progetto “Per aspera ad astra - come riconfigurare il carcere attraverso la cultura e la bellezza” coordinato da Acri (associazione di fondazioni e casse di risparmio) e sostenuto a Torino e a Genova dalla fondazione Compagnia di San Paolo. Una iniziativa naturalmente realizzata grazie all’importante collaborazione della Direzione e degli operatori della casa circondariale torinese, mirata a mantenere attivo il dialogo tra il carcere e la città attraverso il linguaggio espressivo del teatro.

Diretti dal regista Claudio Montagna, in scena per “Finestre” si sono alternati gruppi di circa venti persone a recitare. Una cinquantina, nel complesso, i detenuti-attori coinvolti nei laboratori che hanno portato a questa produzione: perché anche le scenografie sono state realizzate al Lorusso e Cutugno. “Frasi e battute dell’opera teatrale sono state scritte dai detenuti nell’ambito dei laboratori - ha spiegato Claudio Montagna - testi molto belli e significativi nati dal desiderio di comunicare per mezzo dell’arte e della poesia.

“Finestre” ci parla della speranza e del buio, della sua assenza: è avere il nulla come prospettiva dopo l’uscita, che in carcere genera disperazione. Eppure, la Speranza, seppure nascosta, è una virtù vivente e lo spettacolo ci suggerisce con umiltà che essa si alimenta e cresce se diventa oggetto di scambio: una finestra che si apre è un’occasione d’incontro tra parti di una stessa umanità. È un inizio, un varco nel buio, il contrario della disperazione”. Uomini, personaggi di varia età, dunque, sulla scena.

Rapide pennellate, davanti ad essenziali ed eleganti periacti, che, a seconda dei casi, girano e vengono aperti: sono ora muri, ora finestre su cieli azzurri, poi fondali neri, neutri. Una scenografia che è stata realizzata dagli studenti del Padiglione B (Ipia Plana) e dipinta da quelli del Padiglione C (Primo Liceo artistico) con la collaborazione del laboratorio di scenotecnica del Teatro Stabile di Torino. Il tutto a fare da sfondo al racconto di vite prima vissute a mille, quando tutto poteva essere ritenuto possibile: rapinare, drogarsi, illudere parenti, fidanzate - perché, tanto, “nulla mi può succedere…”.

Ad un tratto l’apparizione della donna - come in un sogno - in abito da sposa. Oppure l’anziano detenuto che distilla la sua storia, la sua essenza, il suo spirito, scrivendo, arrivando a sfiorare la poesia più sublime. Nella quarta replica, a cui abbiamo assistito, l’accompagnamento musicale era suonato dal vivo dall’Orchestra Mandolinistica Città di Torino, diretta dal Pier Carlo Aimone.

Nell’ensemble, anche il primo violino di Nadia Bertuglia; anche questo contribuiva a creare quella perfetta, magica sospensione del tempo - il tempo del teatro - che raggiungeva il suo vertice nel finale, con le note dell’Intermezzo della “Cavalleria rusticana” di Mascagni. Le note degli strumenti, le parole degli attori in scena, così inevitabilmente piene di verità. E allora ci si ritrova a constatare di come, in carcere, nonostante la certezza della pena, un filo di speranza possa esistere. Spesso, però, la disperazione assale i detenuti, pensando al “dopo”.

E allora è giusto aprire “Finestre” e nelle due parti di una umanità si possono scoprire pezzi di una stessa proverbiale mela. Leggerezza e poesia, nella densità e nel dolore della vita. Ora si progetta di replicare “Finestre” anche all’esterno, nel torinese, ma non è una faccenda amministrativamente semplice. Una replica, fuori, in un teatro “normale”, anche per accontentare i tanti che sono rimasti fuori in queste sere di fine ottobre. Un’altra recita, proprio come succede nel recente film “Grazie ragazzi”, con Antonio Albanese. Ce lo auguriamo davvero. Grazie ragazzi.