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di Marina Lomunno

La Voce e il Tempo, 7 luglio 2023

Non c’è tregua per le carceri torinesi: al “Lorusso e Cutugno” la scorsa settimana si è suicidata una detenuta di 52 anni, ad un mese dal fine pena per il tentato omicidio del compagno. Era una donna fragile e aveva timore di non riuscire a rifarsi una vita “fuori”.

Salgono così a 25 i suicidi dietro le sbarre in Italia da inizio anno, di cui due nel penitenziario di Torino, nel 2022 il peggiore dopo quello di Foggia, con quattro suicidi e 35 tentativi sventati dagli agenti penitenziari. Intanto all’Istituto penale minorile (Ipm) “Ferrante Aporti”, dopo la denuncia dei Garanti del Comune e della Regione in seguito alle dimissioni della direttrice Simona Vernaglione, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ha nominato Angela Piarulli, ex senatrice pentastellata e dirigente carcerario, a dirigere l’Ipm fino al 31 dicembre per “tamponare” il vuoto ai vertici del carcere minorile in attesa della nomina di un direttore stabile.

Sulla precarietà (anche strutturale, l’ultima ristrutturazione risale al 2014) che grava ormai da anni al “Ferrante” abbiamo intervistato Pasquale Ippolito, responsabile della formazione professionale di Inforcoop Ecipa Piemonte, e presidente dell’Associazione di volontariato “Aporti Aperte” che da anni opera al “Ferrante”.

Quando nel maggio scorso l’Arcivescovo ha visitato l’Ipm, tramite il nostro giornale “Aporti Aperte” ha invitato i lettori a dare una mano ad allestire la nuova area aggregativa con calcetti e giochi di società. La risposta è stata generosa con una raccolta di 7 mila euro e molto materiale. Senza il volontariato come sarebbe la vita dei ragazzi ristretti?

L’associazione è uno strumento importante per umanizzare il più possibile il periodo detentivo dei ragazzi. Il tempo degli adolescenti è diverso da quello degli adulti, per noi scorre in fretta per loro non finisce mai. Il volontariato non può e non deve sostituirsi alle mancanze dell’Istituzione, ma è un valore aggiunto rilevante per far sentire che ci sono persone attente alla loro condizione e che dedicano loro del tempo. “Perché vieni qua il sabato invece di stare con il tuo ragazzo o a divertirti?”. Questa è la domanda che spesso viene fatta dai ragazzi reclusi ai volontari e la risposta è: “perché mi piace e mi diverto come ti diverti tu”. Ci si scambia sorrisi, ci si racconta storie, si creano legami e si diventa significativi gli uni per gli altri costruendo relazioni di fiducia che spesso in quelle istituzionali mancano o sono strumentali da parte dei ragazzi per ottenere qualcosa.

Cosa cerca di proporre la vostra Associazione per cercare di “rimotivare” i ragazzi reclusi?

Abbiamo riacceso i motori dopo quasi tre anni di stop forzato per l’emergenza pandemica. I ragazzi non sono “sacchi vuoti” da riempire sempre con attività strutturate, certo importanti. Accanto a queste sono necessari momenti di incontro informale. Sono cresciuto all’Oratorio di Valdocco e i momenti belli e spensierati erano proprio quelli passati nella sala giochi. Tra una partita e l’altra si instaurano relazioni, si impara a rispettare le regole, si passa del tempo insieme senza un apparente obiettivo educativo che invece è sempre presente, ma non in modo unilaterale. I ragazzi imparano a stare in gruppo, ma anche i volontari imparano dai ragazzi. Così tutti i sabati pomeriggio e qualche domenica, i volontari dell’Associazione si ritrovano a socializzare con i ragazzi in uno spazio che abbiamo allestito, grazie alle donazioni ricevute. Ci occupiamo anche dei bisogni primari dei ragazzi più poveri che non hanno una famiglia alle spalle a cui mancano vestiti, biancheria intima e prodotti per l’igiene personale, e anche di accompagnamenti all’esterno dei minori e giovani ristretti in occasione di permessi premio. Cerchiamo poi di far conoscere i prodotti realizzati durante le attività professionali partecipando a mercatini e ci siamo fatti promotori dell’allestimento di una sala teatro, un luogo d’incontro tra artisti e i ragazzi, con la possibilità di assistere a spettacoli e partecipare a laboratori specifici anche in collaborazione con la Scuola di “Cirko Vertigo”.

Il nome “Aporti Aperte” evoca il principio di pensare l’Ipm aperto alla società civile…

Certamente. C’è poi “un penale esterno”, la stragrande maggioranza dei ragazzi che commettono reati, non finiscono in carcere, ma hanno provvedimenti penali che per essere realizzati hanno bisogno di sostegno per attivare borse lavoro e tirocini: l’associazione si propone di sostenere economicamente alcuni di questi percorsi. Per i ragazzi “dentro”, il momento dell’uscita è una fase molto problematica: si rischia di compromettere un lavoro educativo se non ci sono opportunità, in particolare per i minori non accompagnati, di sistemazione abitativa e di sostegno economico. È importante pertanto costruire una rete di relazioni esterne per far fronte a queste necessità. Per quanto ci è possibile lavoreremo anche su questo fronte. Ben vengano pertanto donazioni specifiche.

Lei più volte ha evidenziato come il periodo estivo sia il peggiore per i ragazzi detenuti, tempo in cui il volontariato è fondamentale…

È così: molte attività come la scuola terminano con lo stesso criterio della “vita fuori”. Ma i ragazzi reclusi non vanno in vacanza e quindi si dovrebbe pensare per tempo ad attività alternative allo stesso modo educative e “di senso”. D’estate rimane, per scelta, la formazione professionale, le attività di “Aporti Aperte” e poco altro, soprattutto nel pomeriggio. E poi si aggiunge la mancanza di Agenti della Polizia penitenziaria, problema per altro che esiste tutto l’anno ma che peggiora nei mesi estivi. Occorre pensare all’estate con largo anticipo e il Dipartimento dovrebbe stanziare fondi appositi e invece le risorse sono sempre meno.

Cosa chiedete alla nuova direzione per fare in modo che la situazione dell’Ipm torinese esca dall’emergenza?

Chiederemo innanzitutto di restare e mettere radici a Torino, altrimenti ha poco senso impostare un lavoro a termine: un Direttore e un Comandante stabile, dopo viene tutto il resto. Occorre inoltre avere una visione di cosa si vuole fare degli Ipm, perché come sono adesso rischiano di essere inutili e dannosi per i ragazzi, ma anche per chi ci lavora. Occorre una visione progettuale condivisa che parta anche dall’alto, altrimenti l’emergenza diventa quotidianità. Non è facile, ma bisogna metterci mano e lavorare. Gestire l’esistente nel migliore dei modi, ma sapere dove si vuole arrivare, altrimenti sarà sempre peggio. Ho già detto più volte che bisogna intervenire prima che i ragazzi finiscano in carcere. In particolare sui minori stranieri non accompagnati abbandonati a loro stessi, occorrono istituzioni pronte ad accoglierli in modo serio.