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di Marina Lomunno

Avvenire, 23 dicembre 2023

“Nasce anche in questo carcere il Dio scartato”. “Ragazzi, diffidate di chi parla di voi ma non parla con voi. Diffidate dei seduttori, affidatevi agli educatori che vi vogliono bene e sono con voi per costruire il vostro futuro dopo la detenzione. Approfittate di questo tempo per rientrare in voi stessi, per prendere coscienza delle vostre responsabilità: fatevi aiutare dalla direzione, dagli psicologi, gli educatori, i volontari e gli agenti che sono qui per voi. La vostra libertà non è in vendita, non lasciatevi tentare dalla società spacciatrice di illusioni”.

Così don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele, in uno dei passaggi più toccanti della sua omelia, ha parlato ai giovani reclusi nell’Istituto penale per i Minorenni di Torino “Ferrante Aporti”, invitato dal cappellano, il salesiano don Silvano Oni, a presiedere ieri mattina la Messa di Natale. Nonostante i quarantaquattro ristretti siano per la maggior parte stranieri non cristiani, in molti hanno chiesto di partecipare alla liturgia: così l’altare è stato allestito nella sala polivalente perché la cappella non poteva contenere tutti tra giovani, educatori, insegnanti, volontari, agenti accompagnati dalla vicedirettrice Gabriella Picco e dal comandante della polizia penitenziaria. Don Ciotti ha indossato la stola di don Tonino Bello, stola “che mi regalò tanti anni fa a Molfetta, un vescovo innamorato di Dio e degli uomini.

Mi disse: “non mi interessa chi sia Dio, mi basta sapere da che parte sta, con gli ultimi e i più deboli”. Per questo Gesù, un Bambino venuto al mondo da una giovane donna in una stalla perché per lui non c’era altro posto, nasce anche qui oggi al Ferrante Aporti: un Dio che nasce e viene scartato. Ecco perché il Natale dei cristiani è innanzi tutto la festa degli umiliati, degli offesi, dei senza tetto, dei carcerati e di chi è senza consolazione: un Dio che sconvolge, si fa Bambino per calarsi in tutto nella nostra umanità fragile, fino alla sofferenza estrema”.

Ad animare la Messa sono stati i seminaristi salesiani che ogni settimana, con il maestro dei novizi don Enrico Ponte e il cappellano, incontrano i ragazzi come faceva don Bosco - il quale, su consiglio del suo padre spirituale, don Giuseppe Cafasso, patrono dei carcerati, fu mandato a metà ‘800 alla “Generala”, così si chiamava allora il “Ferrante Aporti”. Il santo dei giovani, come fanno oggi i suoi figli (per questo è tradizione che al “Ferrante Aporti” i cappellani siano salesiani) visitava spesso ragazzi detenuti, li ascoltava, giocava con loro, li consolava, come in un oratorio dietro le sbarre: e in quei pomeriggi trascorsi con i “giovanetti discoli e pericolanti” inventò il suo sistema preventivo, come ha ricordato don Ciotti invitando a pregare don Bosco “primo cappellano del Ferrante e per tutti i magistrati, i volontari, gli operatori, gli agenti defunti e anche qualche giovane che tanti anni fa ho incontrato qui e non ce l’ha fatta”.

La Messa era iniziata con un saluto: don Ciotti, citando il cardinale Carlo Maria Martini, “torinese, nato in questa città di santi sociali, scrisse: “Dio non è cattolico. Dio ama tutti, Dio è di tutti”. Per questo sentitevi benvenuti questa mattina qualunque sia la vostra provenienza e la vostra fede perché Dio vi ama tutti e non vi lascia soli”.

E così si è conclusa la celebrazione: don Ciotti ha chiamato all’altare per la benedizione la vicedirettrice, il comandante, un’educatrice, un insegnante e due ragazzi reclusi: “noi siamo strumenti che ricevono la benedizione da Dio e dobbiamo trasmetterla ai nostri compagni di viaggio. E insieme vi benediciamo. Forza, la speranza non vi abbandoni mai. Tutti possiamo rinascere, Dio è qui con voi!”. Ed è partito un applauso tra gli abbracci e i volti rigati dalle lacrime.