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di Marina Lomunno

vocetempo.it, 4 marzo 2024

Aveva 77 anni. Dopo 40 anni di servizio con i minori detenuti ci ha lasciato un prete di frontiera, punto di riferimento per l’educazione nel disagio giovanile. “In ogni giovane, anche il più disgraziato, c’è un punto accessibile al bene e dovere primo dell’educatore è di cercare questo punto, questa corda sensibile del cuore e di trarne profitto”. Così don Bosco invitava i suoi salesiani a cercare e accogliere i ragazzi e le ragazze “discoli e pericolanti” della Torino dell’800, molto simile alla città di oggi, soprattutto nelle periferie che frequentavano i santi sociali.

E le parole di don Bosco sono la sintesi di oltre 40 anni di ministero di don Domenico Ricca, lo storico cappellano dell’Istituto penale “Ferrante Aporti”, morto nella serata di sabato 2 marzo a 77 anni, dopo una malattia che lo ha colpito poco dopo il termine del suo lungo servizio al carcere minorile. Don Ricca, sacerdote dal 1976, per gli amici don Mecu, era un punto di riferimento non solo per ragazzi ristretti, che accompagnava anche dopo il fine pena, ma anche per tutto il personale del “Ferrante”: agenti, operatori, educatori, direzione, volontari che ogni domenica animavano la Messa nella cappellina che lui stesso aveva riaperto collocando una statua di don Bosco, grazie ad una donazione di amici.

E, proprio in occasione dell’Anno della Misericordia indetto da Papa Francesco, fu grazie all’invito di don Domenico che l’allora Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia aprì una Porta santa anche nella cappella del “Ferrante”, nell’intento di far sentire i ragazzi reclusi parte viva della comunità cristiana. E a quella celebrazione, come alle Messe domenicali presiedute da don Mecu, parteciparono tutti i giovani ristretti, la maggioranza ortodossi e musulmani.

Per tutti don Ricca aveva una parola di incoraggiamento, in tutti i suoi giovani riusciva a trovare “quel punto accessibile”, anche in quelli nati nella “culla sbagliata” come era solito dire. Chi scrive, ha avuto il privilegio di raccontare in una lunga intervista, in occasione del 200° della nascita di don Bosco, come don Ricca declinava il suo essere salesiano con i giovani detenuti. Don Mecô amava ricordare che proprio alla “Generala”, oggi il “Ferrante Aporti”, don Bosco, inviato dal suo padre spirituale san Giuseppe Cafasso, iniziò il cammino che lo portò ad essere conosciuto in tutto il mondo come il “santo dei giovani”. “Vedere turbe di giovanetti, sull’età dai 12 ai 18 anni; tutti sani, robusti, d’ingegno svegliato; ma vederli là inoperosi, rosicchiati dagli insetti, stentar di pane spirituale e temporale, fu cosa che mi fece inorridire…

Chi sa - diceva tra me - se questi giovanetti avessero fuori un amico, che si prendesse cura di loro, li assistesse e li istruisse nella religione nei giorni festivi, chi sa che non possano tenersi lontani dalla rovina o al meno diminuire il numero di coloro che ritornano in carcere? Comunicai questo pensiero a don Cafasso, e col suo consiglio e co’ suoi lumi mi sono messo a studiar modo di effettuarlo”. Sono parole di don Bosco: è così che nelle sue “Memorie dell’oratorio” descrive la nascita del suo sistema preventivo. Siamo nel 1855 alla “Generala”: “qui don Bosco incontra nelle sue visite i ragazzi detenuti” spiegava don Ricca “ed è da quei pomeriggi trascorsi con i ‘giovanetti discoli e pericolanti’, ascoltando gli affanni di quei ragazzi senza una famiglia di riferimento, che il santo torinese inventa l’oratorio. Don Bosco fu il primo cappellano e da allora i cappellani del ‘Ferrante’ sono salesiani”.

Ed è per questo che don Domenico ha scelto di intitolare il libro intervista sulla sua esperienza di prete salesiano al carcere minorile torinese (i cui proventi dei diritti d’autore sono stati devoluti interamente per borse di studio e lavoro per i ragazzi ristretti) “Il cortile dietro le sbarre: il mio oratorio al Ferrante Aporti” (Marina Lomunno, Elledici, Torino 2015). Perché è lo stile del prete da oratorio con cui don Mecô stava al Ferrante come ha imparato da giovane prete, a stare in cortile, informalmente a chiacchierare con i ragazzi, anche quando i giovani ristretti si erano macchiati di reati gravi (don Ricca fu anche tutore di Erika, la giovane di Novi Ligure che con i fidanzatino Omar riempì le cronache per molti mesi nel 2001). “Anche all’Agnelli quando aprivo l’oratorio” racconta don Ricca nel libro citato “mi mettevo come ho fatto al Ferrante sulla porta: ‘Buon giorno, ciao…mi presentavo… sono il cappellano se hai bisogno di me cercami. E dopo tre giorni rivedo il ragazzo e dico: “Ma tu vieni da quel paese, conosci per caso quel prete… Ecco non avevo alcuna idea di come fare il cappellano, l’unica era quella d fare le cose che facevo in oratorio”. E ha funzionato. “Prete da oratorio, un prete per chiacchierar…e da cosa nasce cosa”.

Una Messa nel Salone del Ferrante Aporti presieduta da don Mecu

Don Ricca - prete di frontiera, amico di don Ciotti, tra i fondatori prima della cooperativa sociale Valdocco, dell’associazione “Aporti Aperte”, dell’Ags per il territorio, dei Salesiani per il Sociale, presidente dell’Associazione Amici di don Bosco per le adozioni internazionale, delegato per le Acli e molto altro - a Torino era punto di riferimento per chi si occupa di disagio minorile. Memorabile nel 2015, quando Papa Francesco venne a Torino per la sua visita apostolica in occasione dei 200 dalla nascita di don Bosco, fu il pranzo in Arcivescovado con mons. Nosiglia. Il Papa chiese di stare a tavola con alcune famiglie fragili e i minori detenuti e don Ricca portò i suoi ragazzi che donarono a Francesco una maglietta con tutte le loro firme che il Papa autografò…

In una recente intervista per “La Voce e il Tempo” chiesi a don Ricca come oggi don Bosco accosterebbe i “giovani pericolanti”. Ecco la sua risposta: “Don Bosco tornerebbe in prigione, tornerebbe alla Generala… si inventerebbe l’uso dei social. Creerebbe gruppi su Whatsapp e Instagram! È la lezione di don Milani: le forme sono del tempo, ma quello che ci ha lasciato è la voglia di rischiare, di chiedere di più, di non sedersi. Don Bosco manderebbe in carcere i suoi preti e chierici più ardimentosi, giovani, li sosterrebbe anche nelle loro intemperanze. Ma soprattutto sarebbe padre, amico e fratello dei ragazzi reclusi e ripeterebbe anche oggi il suo monito “Amateli i ragazzi. Si otterrà di più con uno sguardo di carità, con una parola di incoraggiamento che con molti rimproveri” perché “tutti i giovani hanno i loro giorni pericolosi, e voi anche li avete. Guai se non ci studieremo di aiutarli a passarli in fretta e senza rimprovero”.

Il Rettor Maggiore dei salesiani, card. Angel Artime che nei giorni scorsi si era recato a Valsalice, nella Casa di cura “Andrea Beltrami” dove don Ricca era ospitato con altri anziani confratelli, appresa della morte di don Domenico ha scritto: “Caro don Mecu, ci troveremo in Paradiso, dove crediamo che il Signore Gesù ci aspetta. Dio ti conceda tanta pace come tu hai offerto ai più poveri, e l’Ausiliatrice ti porti per mano. Con vero affetto tutti noi, i tuoi confratelli e tanti amici ed amiche”.

Don Domenico Ricca verrà ricordato nella preghiera del Rosario nella Basilica di Maria Ausiliatrice a Torino martedì 5 marzo alle 20.30; funerale sempre in Basilica mercoledì 6 alle 10.30; verrà sepolto a Mellea di Fossano dove era nato il 31 agosto 1946.