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di Elisa Sola

La Repubblica, 5 ottobre 2023

Antonio Raddi ha perso la vita al Lorusso-Cutugno di Torino. Nonostante il gip abbia rimandato gli atti alla procura una prima volta, l’accusa vuole chiudere senza processo. La consulenza medico legale: “Era gravemente malnutrito, nessuno ha controllato”. “Risulta il difetto di approfondite verifiche che, in corso del dimagrimento del detenuto, dovevano essere attuate quanto meno dal mese di settembre - ottobre del 2019. Se messe in atto, avrebbero potuto arginare lo stato di malnutrizione”. Dopo quasi quattro anni dalla morte di Antonio Raddi, stroncato a 28 anni da un’infezione dopo avere perso 30 chili in sei mesi nel carcere di Torino, una consulenza tecnica medico legale fa emergere un punto nodale. Una questione sollevata fin dall’inizio dai genitori e dalla sorella del giovane, che era entrato alle Vallette a giugno per scontare pochi mesi, per piccoli reati legati alla sua tossicodipendenza. Ed è morto il 31 dicembre. Quando pesava 50 chili, rispetto agli 80 iniziali. Il 4 dicembre la garante dei detenuti, vedendolo sulla sedia a rotelle, nell’ennesima segnalazione inviata ai vertici del carcere scriveva: “Implora di intervenire. Ha le stesse sembianze di Stefano Cucchi”.

La consulenza è la seconda fatta eseguire dalla procura di Torino, dopo che per la seconda volta il gip, in seguito alla richiesta di archiviazione, ha ordinato ai pm di continuare le indagini. Eppure, anche questa volta, la procura, dopo avere letto le conclusioni dell’analisi dei medici legali, ha chiesto l’archiviazione. Una richiesta riguardo alla quale la famiglia Raddi si è opposta, assistita dagli avvocati Gianluca Vitale e Federico Milano. E di cui oggi, davanti al gip Luca Del Colle, pm e legali discuteranno.

La procura non ha mai smesso di indagare sul caso. La seconda consulenza medico legale evidenzia come già quattro mesi prima della morte di Antonio Raddi la situazione del giovane fosse grave e mette nero su bianco che l’infezione che colpì il 28enne determinò un esito tragico perché il corpo del ragazzo era già fortemente debilitato. Ma precisa anche che Raddi, tre giorni prima del suo ultimo accesso in ospedale, aveva rifiutato di essere ricoverato. Se fosse rimasto in ospedale, forse i medici avrebbero potuto capire che aveva un’infezione e salvarlo. Da qui, la richiesta di archiviare.

È il 10 dicembre. Il 28enne non vuole essere trasferito nel repartino delle Molinette. Nella stessa data i vertici del carcere rassicurano: “Il soggetto è ampiamente monitorato”. Tornato in carcere, tre giorni dopo Raddi collassa. “Vomita sangue e non si muove”, l’allarme del compagno di cella. Gli avvocati Vitale e Milano nell’opposizione all’archiviazione rimarcano il fatto che anche se Raddi rifiuta il ricovero il 10 dicembre, la sua situazione sarebbe stata ormai irrimediabilmente compromessa. Quando Raddi, il 13 dicembre arriva all’ospedale Maria Vittoria, non c’è più nulla da fare. Entra in coma. E muore il 31 dicembre. Muore perché il suo corpo è troppo fragile per reagire a un batterio comune, la Klebsiella pneumoniae. Eppure, alle Vallette, nessuno credeva che Antonio stesse male. Il 20 novembre, il medico del carcere rispondeva all’ennesima lettera della garante dei detenuti: “La perdita di peso è una modalità strumentale per ottenere benefici secondari”.