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di Luca Monaco

La Repubblica, 13 agosto 2023

“Sbagliato lasciare in quelle celle chi ha problemi psichiatrici”. Parla Marina Iadanza, scarcerata a gennaio dopo 5 anni di detenzione. “Le persone con problemi psichiatrici non dovrebbe certo stare in carcere, dove manca un presidio fisso sanitario 24 ore su 24 e le agenti di polizia penitenziaria non hanno certo studiato medicina. E come se chi va in ospedale per un malore venisse curato da un meccanico”. Marina Iadanza ha 37 anni: con la messa alla prova è uscita di prigione il 22 gennaio scorso dopo cinque anni di detenzione. Lavora alla bottega di economia carceraria a Torino e dopo le morti di Susan e Azzurra torna a lanciare l’allarme sulle condizioni alle quali sono costrette le detenute nel carcere femminile.

Nel corso dei cinque anni di detenzione le sarà capitato di conoscere altre ragazze fragili come Azzurra...

“Certo, nel 2018 ho accettato di fare da “peer supporter” affiancando una ragazza giovane, di 24 anni appena, che aveva crisi psicotiche legate all’uso di crack. Era una ragazza del mio quartiere, la conoscevo da fuori, quando è entrata era seminuda, non aveva nulla. Le sono stata vicina, in affiancamento, ma queste persone non dovrebbero stare in cella”.

Che idea si è fatta sulla morte di Susan John?

“È una vicenda terribile, spero davvero che la magistratura faccia luce perché se arrivi alla decisione di toglierti la vita pur sapendo che hai un figlio fuori significa che stai vivendo una sofferenza fortissima. Qualcosa certamente non ha funzionato dal punto di vista della comunicazione interna”.

Cioè?

“Non è certo raro vedere persone soffrire crisi psichiatriche in carcere, i trattamenti contenitivi sono usati abbondantemente. Non credo che non si potesse fare nulla per salvarle la vita: dovevano essere avvisati tutti quelli che potevano fare qualcosa”.

Anche Azzurra era fragile e sofferente...

“Era stata portata a Torino da Genova perché aveva problemi mentali, dei quali si dovrebbe occupare un medico, non la polizia penitenziaria né le altre detenute. Le persone che si fanno deliberatamente del male dovrebbero essere tutelate dallo Stato, non abbandonate in una cella, per di più lontano da casa loro”.

Lei è l’esempio di una riabilitazione riuscita...

“Io mi sono rialzata grazie al lavoro, con la mia volontà e le mie forze - insiste - ma chi è più fragile e con meno strumenti è lasciato solo. A volte mi viene da pensare che sperino nei suicidi per risolvere il problema del sovraffollamento”.

È una provocazione forte...

“Speravo molto nella visita del ministro Nordio a Torino, poi quando ho sentito la sua proposta di utilizzare le caserme dismesse ho pensato che si voglia solo spostare il problema. Nordio ha detto che nessuno verrà lasciato solo, ma ragionando in questo modo lo Stato ha già abbandonato tutti: non solo i detenuti e le detenute, ma tutta la comunità penitenziaria”.