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di Massimo Massenzio

Corriere di Torino, 30 ottobre 2022

Il suicidio di Tecca Gambe, il 36enne originario del Gambia che si è tolto la vita venerdì mattina è il terzo dall’inizio dell’anno all’interno del carcere di Torino. Una drammatica sequenza cominciata a fine luglio quando Nuammad Khan, 38enne cittadino pachistano si era impiccato all’interno del padiglione C. Tre settimane più tardi, nel giorno di Ferragosto, anche Alessandro Gaffoglio, 24 anni, passaporto italiano e origini brasiliane, aveva deciso di uccidersi nella cella dove si trovava da solo, proprio come Tecca. Alessandro, incensurato, aveva già tentato il suicidio cinque giorni prima, ma inspiegabilmente nella sua cella era stato lasciato il sacchetto di plastica con il quale si è soffocato. Era stato arrestato il 2 agosto per due rapine a San Salvario e all’udienza di convalida il suo legale aveva chiesto la concessione degli arresti domiciliari, ma l’istanza era stata respinta.

Tecca Gambe, invece, sembra non avesse manifestato alcun segnale di disagio. Era stato arrestato il 25 ottobre, dopo un furtarello nel negozio di articoli elettronici sotto i portici di via Nizza, quasi all’angolo con corso Vittorio Emanuele II. Era quasi l’ora di chiusura e lui avrebbe fatto il “palo” sul marciapiede, mentre il complice, 22 anni, è entrato nel locale con una maglietta sporca di sangue. “Era ubriaco - racconta la titolare, una donna cinese che ogni giorno fronteggia episodi del genere -. Erano già entrati prima e quando li ho visti tornare ho chiamato subito la polizia”. Davanti al bancone c’è un telo di plastica che va dal soffitto al pavimento: “Lo abbiamo messo per il Covid, ma anche per evitare i furti. La merce la passiamo attraverso un’apertura e poco prima un cliente aveva lasciato sul banco una confezione di auricolari bluetooth. Lui li ha afferrati, ma non sono scappati, hanno fatto il giro dell’isolato e sono tornati in via Nizza”.

Quando è arrivata la polizia la coppia è stata identificata anche grazie alla testimonianza di un cliente e Tecca avrebbe spintonato l’agente facendo scattare l’accusa di resistenza che ha portato all’arresto. Ha passato la notte in una camera di sicurezza prima di essere trasferito al Lorusso e Cutugno. Non aveva documenti, non ha indicato familiari da contattare e alla “matricola” lo hanno registrato come “sconosciuto”. All’udienza di convalida ha rivelato la sua identità, sperava di uscire subito, ma il giudice si è riservato la decisione. Quando è tornato in carcere ha scoperto che il suo compagno di cella aveva chiesto di essere trasferito e il mattino dopo, assediato dai suoi “fantasmi” si è soffocato con un lenzuolo. “Se potessi tornare indietro non chiamerei la polizia - si dispera la negoziante cinese -. Non si può morire per delle cuffiette che costano 24 euro”.