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di Irene Famà

La Stampa, 12 agosto 2023

Le storie di una donna che non mangiava perché voleva vedere il figlio e di un’altra giovane che ha deciso di impiccarsi nella propria cella. La protesta disperata di chi è invisibile anche in carcere si conclude con la morte. Una sconfitta, la più tragica. Susan John, 43 anni, origine nigeriana, ha rifiutato cibo e acqua per tre settimane. È morta l’altra notte nella sua cella del carcere di Torino. Azzurra Campari, 28 anni, si è impiccata poche ore dopo. Sempre al Lorusso e Cutugno.

Azzurra era stata trasferita a Torino da Ponte Decimo di Genova il 29 luglio. Alle spalle qualche furtarello, una pena sino al 2024. Ragazza fragile, complessa, il suicidio l’aveva già tentato altre volte. Richiedeva assistenza e tanta cura. “Una giovane con un grande disagio e una vita complicata, ma con un grande cuore”, come la descrive la sua avvocata Marzia Ballestra del foro di Imperia.

Susan era stata arrestata il 21 luglio, dopo un lungo periodo trascorso ai domiciliari. Doveva scontare una condanna di dieci anni e sei mesi inflitta da una corte di Catania per reati di tratta e immigrazione clandestina. Per i giudici costringeva giovani donne nigeriane alla prostituzione. Ha rifiutato per 18 giorni cibo, acqua, medicine, supporto psicologico. Tutto. Compreso il ricovero d’urgenza chiesto dai sanitari nei giorni scorsi, quando le sue condizioni si sono aggravate.

Non stava sostenendo uno sciopero della fame. La sua non era una protesta contro il regime carcerario, come quella portata avanti dall’anarchico Alfredo Cospito. Susan si è lasciata andare giorno dopo giorno. Per disperazione. “Voleva tornare in Nigeria”, come raccontava ieri il compagno agli amici. Voleva vedere il suo bimbo di quattro anni. “Sembra che si sia verificato un crollo psicofisico cui non è stata prestata sufficiente attenzione. Per questo sono perplesso. E arrabbiato. Vedremo gli sviluppi”, dice l’avvocato Manuel Perga che insieme al legale Wilmer Perga ha seguito la vicenda processuale di Susan.

No, il suo non è stato uno “sciopero della fame” annunciato con comunicati roboanti, di quelli che fanno scattare il protocollo di monitoraggio costante. Giorno dopo giorno ha rifiutato il carrello con il cibo. E l’acqua. Nel silenzio della sua disperazione. Alla garante dei diritti dei detenuti a Torino, Monica Chiara Gallo, il caso non è mai stato segnalato. “Una grave dimenticanza - sottolinea -. Probabilmente non sarebbe cambiato nulla. Però, almeno, avremmo potuto attivare le nostre procedure e tentare qualcosa”.

A stabilire le cause della morte sarà l’autopsia, che la procura di Torino, dove è stato aperto un fascicolo al momento senza indagati né ipotesi di reato, intende disporre lunedì.

Il caso indigna la politica. “Serve chiarezza sulle condizioni che hanno portato a queste tragedie e serve subito. È inaccettabile morire quando la propria vita è nelle mani dello Stato”, interviene la deputata Chiara Appendino, ex sindaca di Torino. I radicali, con Igor Boni, parlano di “punta dell’iceberg di un sistema putrefatto”, mentre Riccardo Magi, segretario di Più Europa, parla di “vicenda allucinante” e annuncia un’interrogazione al ministro Nordio. “Questa - dice la senatrice Ilaria Cucchi - è una tragedia che non può essere tollerata in un Paese che si professa civile e democratico”.

Centodieci le detenute recluse al Lorusso e Cutugno su ottanta posti. A Torino, come altrove, gli istituti di pena continuano ad essere sovraffollati. Quello di Susan è il 42esimo suicidio del 2023 nelle carceri italiane, quello di Azzurra il 43esimo. Il 16esimo solo tra giugno e agosto. Sovraffollamento e, in estate il caldo, spiega l’associazione Antigone, rendono ancora più drammatica la situazione e ricordano come nelle carceri italiane siano detenute 10mila persone in più dei posti disponibili.

E i sindacati della polizia penitenziaria non nascondono preoccupazione. Leo Beneduci dell’Osapp parla di “contraddizioni a discapito dei più deboli” e Vincente Santilli del Sappe afferma che queste due tragedie “impongono al ministro della Giustizia un netto cambio di passo sulle politiche penitenziarie del Paese”.