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di Luca Monaco ed Elisa Sola

La Repubblica, 13 agosto 2023

La 42enne nigeriana ha iniziato uno sciopero della fame e della sete, è morta nella notte di venerdì per carenza di liquidi. Quando il 22 luglio scorso era stata accompagnata in carcere dai carabinieri della stazione Borgo San Donato, che avevano eseguito l’ordine di detenzione emesso dal tribunale di Catania per tratta di esseri umani, Susan John pesava 80 chili. La 42enne nigeriana ha iniziato uno sciopero della fame e della sete per poter vedere il figlio di tre anni appena, è morta nella notte di venerdì per uno “squilibrio elettrolitico” dovuto alla carenza di liquidi. Adesso sulla scomparsa della donna, che doveva scontare una condanna definitiva a 10 anni e quattro mesi, indaga la procura di Torino.

La pm Delia Boschetto ha aperto un fascicolo a carico di ignoti per istigazione al suicidio. L’ipotesi di reato permette di poter disporre un’autopsia, che verrà eseguita nelle prossime ore, presumibilmente già oggi dopo che verrà conferito l’incarico al medico legale.

John si è rifiutata di bere e di mangiare per 20 giorni. Ma “non ha mai perso la lucidità mentale”, raccontano diverse fonti interne alla casa circondariale Lorusso e Cutugno. La donna sarebbe stata monitorata quotidianamente, con i medici che ogni 24 ore provavano a convincerla a farsi accudire: avrebbe rifiutato puntualmente le visite di controllo dei parametri vitali, anche solo la misurazione della pressione. Finché il 6 agosto scorso il quadro clinico non si è aggravato. John ha avuto un mancamento, è stata ricoverata in ospedale e di nuovo riaccompagnata in carcere.

“È sempre rimasta lucida, cosciente - ripetono gli operatori del penitenziario - era nella pienezza delle sue facoltà mentali”. Così nessuno sarebbe potuto intervenire. Nessuno le ha praticato un trattamento sanitario obbligatorio, anche nel timore di poter incappare nel reato di violenza privata. Una cautela che ha frenato tutti e che ha segnato la morte di Susan. La donna ha sempre rigettato le accuse formulate dai pm, che l’avevano indagata per tratta di essere umani e sfruttamento di prostituzione con il ricorso a minacce, ricatti e il ricorso a riti religiosi. Si è sempre professata innocente. Ha presenziato a quasi tutte le udienze fino alla condanna definitiva.

Una volta in carcere ha rifiutato cibo e acqua per 20 giorni pur di poter rivedere il figlio, si è lasciata morire. Le indagini della procura sono concentrare ad accertare i contorni del quinto decesso a Torino dall’inizio dell’anno. Una volta che l’autopsia avrà riscontrato le cause della morte, gli accertamenti si concentreranno anche sulle comunicazioni interne al carcere per capire cosa è stato fatto e se qualcuno sarebbe dovuto intervenire in altro modo. Susan doveva essere sottoposta a un Tso? Perché è stata riportata in cella dopo il ricovero in ospedale? Saranno acquisite le cartelle cliniche, anche per rispondere alla domanda di giustizia di Omos, il compagno, assistito dall’avvocato Manule Perga. Ieri ha trascorso la giornata in casa, sostenuto dall’affetto degli amici. “Era una persona gentile”, la ricordano i vicini di casa.