sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Sarah Martinenghi

La Repubblica, 30 giugno 2023

Sarebbe dovuta uscire dal carcere Lo Russo e Cotugno di Torino ai primi di agosto Graziana Orlarey, 52 anni, che si trovava reclusa nel padiglione femminile dopo aver tentato di strangolare il compagno nel 2019. Era in uno stato d’ansia e paura per il cambiamento che avrebbe dovuto presto affrontare. E l’angoscia ha preso il sopravvento: intorno alle 18 di mercoledì sera si è tolta la vita impiccandosi nel bagno della sua cella.

Avrebbe usato una t-shirt come cappio e uno sgabello per arrivare alle sbarre della finestra. Aveva un passato di litigi e maltrattamenti, un travagliato rapporto di coppia caratterizzato dall’abuso di alcol e durato otto anni, che l’aveva portata a compiere quel gesto per esasperazione nei confronti dell’uomo con cui all’epoca conviveva in una frazione isolata di Settimo Vittone. La donna, in carcere, avrebbe approfittato di un momento in cui si trovava da sola in cella, durante l’ora di socialità. Sarebbe stata la compagna a ritrovare il suo corpo e dare l’allarme. Orlarey era stata condannata a 4 anni e dieci mesi.

“Aveva ottenuto per il buon comportamento un anno di liberazione anticipata. Nell’ultimo periodo la sua situazione di fragilità era conosciuta ed era per questo supportata anche a livello farmacologico- spiega il suo avvocato Mattia Fió del foro di Ivrea che aveva fatto il possibile per tentare di aiutarla - aveva esternato le sue paure di uscire dal carcere e approcciare una nuova vita fuori sia a me che alle due figlie. Durante il processo era emersa la storia difficile, di violenze e minacce reciproche con il compagno, e per questo aveva ottenuto tutte le attenuanti possibili”.

“La situazione di questa detenuta era conosciuta e si stava lavorando molto per lei: non era stata dimenticata da educatori o dalla rete di servizi, anzi, si stava cercando di trovarle il supporto psicologico, abitativo e lavorativo in vista del suo reinserimento fuori dal carcere - commenta la garante Monica Gallo - purtroppo però non so quanto lei si sia resa conto di questo, certamente la paura di non riuscire a ricomporre un’esistenza dignitosa in questa sua fragilità l’ha spaventata”. Secondo il legale “per quanto la sua situazione fosse nota, il carcere non è il luogo ideale per questi soggetti fragili. Ma reperire strutture come le case famiglie non è semplice. Avevo provato a chiedere misure alternative ma senza disponibilità da parte delle strutture non era stato possibile”.