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di Elisa Sola

La Repubblica, 17 novembre 2023

Michele Pepe, 48 anni, era stato condannato per camorra. Era obeso grave con problemi di cuore. È arrivato senza vita al Lorusso e Cutugno. Sotto processo chi diede il via libera alla “traduzione”. Una tirata unica, da Parma a Torino. Tre mezzi che sfrecciano senza sosta sull’autostrada. Due auto della polizia penitenziaria e al centro l’ambulanza che trasporta un detenuto in barella: Michele Pepe, 48 anni. Condannato per camorra, obeso grave con problemi di cuore. Doveva essere un servizio di “traduzione” ordinario, quello di Pepe. Invece il carcerato, partito dall’istituto penitenziario di Parma il 3 dicembre 2018, arriva morto al Lorusso e Cutugno di Torino. Sull’ora del decesso e su eventuali responsabilità non ci sono dati certi. Il processo è iniziato ieri a Parma. Alla sbarra c’è il medico penitenziario del carcere lombardo che firmò il nulla osta per il viaggio. L’ipotesi di reato è omicidio colposo. L’inchiesta, coordinata dal pm Giovanni Caspani, era stata lunga e complessa. Nessun agente è alla fine stato indagato, perché il magistrato aveva ritenuto che la causa della morte di Pepe fosse il comportamento del medico. Lui avrebbe dato l’ok per un viaggio infattibile per un detenuto con gravi problemi di salute. E gli avrebbe somministrato dei farmaci, forse sedativi, che sarebbero stati dannosi.

Il processo andrà avanti. Ma alcuni punti della vicenda sono destinati a restare irrisolti. Come la risposta alla domanda: perché nessuno portò Pepe in ospedale, anziché in carcere a Torino, alla fine di un viaggio in cui respirava con l’ossigeno? C’è una lettera manoscritta, spedita in procura a gennaio del 2019 da un pentito che all’epoca dei fatti stava finendo di scontare la pena alle Vallette, dove si fa riferimento alla questione. “Quando arrivò quell’uomo in barella alle Vallette - scrive il collaboratore di giustizia - stavo pulendo l’ufficio matricole. Per me Pepe era già morto. Era pieno di lividi. Si misero a litigare un agente di Parma con uno di Torino. Quest’ultimo urlava, perché lo avete trasportato fino a qui se doveva andare al pronto soccorso?”. Pepe, come molti grandi obesi era cardiopatico e pieno di problemi. “Durante il viaggio non ci siamo mai fermati”, hanno confermato i soccorritori che erano sull’ambulanza. Un agente ha aggiunto: “Ho visto il detenuto parlare col barelliere. Per me era vivo. Appena arrivammo alle Vallette, sembrava assopito. Chiesi se potevamo portarlo in ospedale. Mi dissero che non si poteva, che ormai era stato etichettato come detenuto Asl e che prima bisognava seguire altre procedure. Poi l’ambulanza non era del 118, ma adibita solo al trasporto ordinario”. “L’ho sentito parlare in dialetto e chiedere l’ossigeno, poi si è addormentato”, rammenta il barelliere. Un poliziotto delle Vallette: “Mentre era lì in barella continuavano a scrivere le pratiche di immatricolazione”. Il decesso viene constatato alle 18. Ma Pepe era già morto, secondo quanto stabilirà poi l’autopsia. Da un po’ di tempo. Da quanto, esattamente, non si saprà mai. “Indagate i medici e i poliziotti di Parma”, scriverà il pentito ai pm dopo avere visto le condizioni in cui arriva il 48enne. “Era pieno di lividi, in pantaloncini. Non l’ho mai sentito parlare né muoversi. Come hanno potuto farlo partire in quelle condizioni?”.