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di Valeria Pacelli e Giacomo Salvini

Il Fatto Quotidiano, 4 ottobre 2023

Si va verso la modifica del 613 bis: nel prossimo pacchetto di riforme previsti “interventi sui crimini contro i pubblici ufficiali”. Intervenire sul reato di tortura, nei fatti alleggerendolo. Non abrogarlo come proposto in passato da Fratelli d’Italia, ma modificarlo. Il rischio? Renderlo più difficile da contestare in quei casi di forze di polizia denunciati - come a volte è capitato - per i soprusi subiti da alcuni detenuti in carcere, ma non solo. Non si fa di tutta l’erba un fascio, ma ci sono stati episodi in cui l’abuso di potere si è tradotto in botte, schiaffi, umiliazioni. E poi torture.

Alcune qualificate fonti di governo la definiscono un’ulteriore “svolta securitaria” che sarà accompagnata da “interventi sui reati contro i pubblici ufficiali per mettere in sicurezza le forze dell’ordine”. Tra le altre cose, la maggioranza sta lavorando anche per inserire la modifica del reato di tortura nel pacchetto di riforme che dovrebbe arrivare tra novembre e dicembre. L’obiettivo è intervenire sull’articolo 613 bis del codice penale. Questo è stato introdotto in Italia nel 2017, con la legge 110. È una disciplina nata per recepire quanto previsto dall’articolo 1 della Convenzione Onu del 1984 in cui si indica con il termine di tortura qualunque atto “mediante il quale sono intenzionalmente inflitti a una persona dolore o sofferenze forti… al fine segnatamente di ottenere” una confessione o al fine di punire o intimorire.

L’articolo 613 bis del codice penale italiano è però meno specifico: viene contestato a chiunque “con violenze o minacce gravi cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla custodia…” dello Stato. Pena prevista: da quattro a dieci anni e può essere inflitta “se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante” della persona. Se il reato è commesso da un pubblico ufficiale, come possono essere ad esempio agenti di polizia penitenziaria, la pena è da 5 a 12 anni.

Questo il quadro normativo. In passato è stato proprio Fratelli d’Italia a chiedere l’abrogazione dell’articolo 613 bis con una proposta di legge, prima firmataria Imma Vietri. Per i deputati del partito di Giorgia Meloni il rischio era che potevano “finire nelle maglie del reato comportamenti chiaramente estranei al suo ambito d’applicazione classico, tra cui un rigoroso uso della forza da parte della polizia durante un arresto o in operazioni di ordine pubblico particolarmente delicate o la collocazione di un detenuto in una cella sovraffollata”. “Ad esempio - spiegavano - gli appartenenti alla polizia penitenziaria rischierebbero denunce per tale reato a causa delle condizioni di invivibilità delle carceri”.

La proposta di legge di FdI - già allora contestata - arrivava a marzo 2023 in un momento peraltro in cui venivano sospesi dal servizio 23 agenti della polizia penitenziaria di Biella, accusati di tortura verso tre detenuti. Casi simili si sono verificati (secondo le accuse dei pm) anche nel carcere di Torino come in quello di San Gimignano (Siena).

La vecchia idea di FdI però non è stata del tutto abbandonata. Perché se pure non si parli più di abrogare il reato di tortura, ora si ragiona su come modificarlo. In vista del prossimo pacchetto di riforme, che arriverà in autunno, si starebbero limando gli ultimi aspetti, consapevoli di dover trovare una soluzione che non incontri ostilità nella maggioranza, come Forza Italia che già in passato si era detta contraria. “Il reato di tortura non si tocca”, aveva detto a luglio il senatore azzurro Pierantonio Zanettin.

Era stato poi lo stesso ministro della Giustizia Carlo Nordio, a marzo scorso, ad assicurare: “Il governo Meloni non ha alcuna intenzione di abrogare il reato di tortura”. In aula il Guardasigilli aveva poi spiegato che una delle criticità del reato, così come scritto, riguardava la mancanza del dolo specifico, invece previsto dalla Convenzione di New York: “Il dolo specifico è quando una condotta viene tenuta al fine di ottenere un risultato ulteriore, in questo caso la confessione.

Il nostro legislatore, invece, optando per una figura criminosa contrassegnata dal dolo generico, quindi senza l’intenzione ulteriore di ottenere un determinato risultato, ha eliminato il tratto distintivo della tortura rispetto agli altri maltrattamenti, rendendo concreto il rischio (…) di vedere applicata la disposizione nei casi di sofferenze provocate durante operazioni di ordine pubblico e polizia”. Su come verrà modificato il 613 bis, nessuno in maggioranza oggi si spinge oltre, certi delle polemiche che ne deriverebbero. Il rischio è che le modifiche tecniche finiscano per svuotare il reato. Con la scusa della svolta “securitaria”.