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di Erika Pontini

La Nazione, 27 luglio 2023

Mancanza di lavoro, spazi angusti e aumento dei casi psichiatrici. “Il sistema carcere va ripensato integralmente in funzione dell’adempimento del dettato costituzionale: umanità nella detenzione e reinserimento sociale. Siamo lontanissimi ancora da quel modello”. Giuseppe Fanfani è il Garante dei detenuti della Toscana e negli ultimi giorni ha depositato il dossier sullo stato delle strutture toscane. Sedici in tutto per 2963 reclusi, la maggior parte uomini, la metà stranieri, un quarto tossicodipendenti.

Qual è il problema principale?

“Il sovraffollamento reale: è vero i numeri dei detenuti sono calati anche in Toscana ma i numeri sono calcolati sulla base dell’occupazione degli spazi. In una cella di 15 metri quadri in 3-4 non ci si può stare. È il male delle grandi carceri come Sollicciano, Prato, San Gimignano, Pisa e Livorno e anche Massa mentre nelle strutture piccole è meno sentito, perché ci sono a disposizione spazi più ampi e il differente rapporto anche tra personale e detenuti, improntato all’ aiuto, invece che alla repressione rende il carcere meno afflittivo”.

Quali sono le strutture migliori?

“L’ideale sono la Gorgona e Pianosa, l’estate ci vorrebbero andare tutti. C’è un clima isolano che è particolarmente accettabile: non è che detenuti possono fare il bagno ma hanno libertà di movimento e vivono sostanzialmente con spazi maggiori. I migliori restano i piccoli: Arezzo, Siena e Grosseto, Pistoia e Massa Marittima, quest’ultimo è ‘bellino’ sempre che questo termine si possa accostare a una struttura penitenziaria”.

La maglia nera in Toscana?

“Non me lo faccia dire. Tutte le grandi strutture: un carcere per essere educativo e vivibile non deve avere più di cento detenuti”.

Sollicciano?

“Andrebbe demolito: è un bell’esempio architettonico e stilistico ma non ha niente del carcere moderno dove il detenuto deve essere trattato con umanità e trovare le strade della redenzione sociale. Funziona il Gozzini, meno di cento detenuti: ci sono i semiliberi ed è stato dato vita a un programma di rieducazione importante”.

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“A Sollicciano c’è malessere, anche io quando entro sento un senso di alienazione che non provo da altre parti. E gli atti di autolesionismo che vengono registrati come tali sono meno della situazione reale. Ho visto uomini che hanno incisi sulle braccia gli anni della detenzione”.

Sono sempre più numerosi i detenuti che soffrono di patologie psichiche. A cosa è dovuto?

“È un fenomeno che sta esplodendo ovunque: dipende dalla fragilità, dall’ambiente che trovano, dalla solidarietà. Per questo nelle strutture piccole i suicidi non ci sono e si prevengono meglio gli atti di autolesionismo. Ci sono strutture dove se uno non è matto, ci diventa, e poi molti scontano un profondo senso dell’abbandono. A Sollicciano ci sono solo una manciata di educatori e poche ore disponibili con psichiatri e psicologi. Non si possono costruire percorsi duraturi, se gli va bene parlano con il medico a ogni spuntar di luna e vengono riempiti di medicine. Manca il personale per supplire alla fragilità psichica dei detenuti”.

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“Se a un detenuto lo fai stare 4-5 anni in carcere senza fare niente, quando è fuori è messo peggio di prima. Se non gli cambi i riferimenti sociali ritrova esattamente quelli che aveva prima e torna a delinquere. È un difetto generalizzato del sistema al quale fa da scudo tutto il sistema del volontariato. Dietro le sbarre si lavora solo per le pulizie, in cucina e nelle riparazioni, e mica tutti. Fuori invece il presupposto è trovare un’ambiente che ti accolga, che ti dia lavoro e ti reinserisca ma è difficile. È l’offesa maggiore alla Costituzione”.

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“Se uno ammazza una persona ed è matto lo metti in carcere fino a quando non trovi posto nella Rems perché il sistema sociale esterno al carcere è schifoso, inaccogliente. Le persone con problemi psichici andrebbero curate in ambienti di tutela se sono pericolose per mettere in sicurezza i cittadini, altrimenti accade quello che è successo recentemente, o in strutture intermedie che sono le strutture psichiatriche territoriali”.

Sono abbastanza?

“Non è solo una questione di numeri ma della possibilità di riuscirle a curare. È un sistema che andrebbe ampliato: più riesci ad aumentare la capacità del sistema sociale e più riduci quello della detenzione carceraria”.