sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Edoardo Semmola

Corriere Fiorentino, 26 aprile 2023

Rems, Asl, carceri, ospedali: il sistema che dovrebbe gestire quel complesso mondo che interseca giustizia e salute mentale si regge su un equilibrio precario. Anzi, non si regge. Lo sa bene Emilio Santoro, docente di Filosofia e Sociologia del Diritto all’Università di Firenze e fondatore de L’Altro Diritto, associazione che si occupa dei diritti dei detenuti: “Le Rems, con la chiusura degli Opg, dovrebbero accogliere chi ha sofferenze psichiatriche e non può andare in carcere in quanto ritenuto incapace di intendere e volere al momento del crimine. Nelle Rems si applicano solo misure di sicurezza. Ma ci sono pochissimi posti e per questo molti di loro vengono tenuti in carcere nonostante sia stata certificata la loro incapacità: ho letto personalmente un provvedimento che applicava la custodia cautelare “fino a quando non si libera un posto in Rems”.

Chi dovrebbe stare nelle Rems?

“L’ordinamento distingue tra folle reo e reo folle: il primo è colui che commette un reato in maniera indipendente dal suo disturbo, ed è imputabile, il reato commesso dal “reo folle” è invece collegato al disturbo: lui dovrebbe scontare la misura di sicurezza nelle Rems. Chi prima veniva curato negli Opg ora non sanno più dove metterlo”.

Già, dove?

“La Corte costituzionale tre anni fa ha stabilito che a loro si applicano gli stessi criteri di incompatibilità carceraria che valgono per le malattie fisiche: se un paziente non è curabile in carcere, viene mandato in ospedale. Cosa che ha spaventato molto il sistema carcerario, che si sente privato di questi soggetti, ma anche le Asl perché si ritrovano a gestire soggetti molto complicati. Per questo hanno iniziato a creare convenzioni tra Asl e carceri per creare sezioni psichiatriche dentro i penitenziari, che sono diventati il posto dove finiscono “in osservazione” i casi troppo complicati per essere gestiti in ospedale. Siamo passati da un solo Opg all’interno di un carcere, a Reggio Emilia, a piccole strutture psichiatriche dentro ogni carcere. Ed è così evidente che questa cosa va bene alle Asl, che quando a Sollicciano arrivano in osservazione dalla Sicilia dei detenuti-pazienti, la Asl non viene nemmeno avvisata e non si lamenta. Dovrebbe farsi pagare, ma ha paura che il sistema venga messo in discussione”.

Le carceri riescono a svolgere anche questo compito?

“A Sollicciano qualche mese fa è arrivato un ragazzo del Maghreb detenuto a Massa. Alla visita sembrava che tutto andasse bene”.

Invece?

“Si è suicidato”.

Il sistema detentivo e sanitario non è attrezzato per lo stress a cui è sottoposto…

“Sì. Infatti la Corte costituzionale ha detto che si può usare l’istituto della libertà vigilata per curare alcuni malati psichiatrici in strutture private convenzionate. Ma qui sorge un altro problema: a volte queste strutture risultano essere ancora più “detentive” e al loro interno non c’è nemmeno sufficiente possibilità di supervisione da parte del magistrato di sorveglianza. Su questo come Altro Diritto insieme al garante dei detenuti, stiamo completando un monitoraggio delle strutture”.

È emblematico che il Garante dei detenuti debba occuparsi di cliniche private...

“Lavoriamo analizzando gli indicatori di privazione della libertà. Cinque mesi fa il Cpt, Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa, è venuto in Italia e visitando una Rsa l’ha riconosciuta come struttura che rientra nella sua competenza di vigilanza, in quanto sono presenti elementi di limitazione della libertà. Basterebbe questo per dire a chi sostiene la necessità di rivedere la 180 che forse quella legge sarebbe ancora da attuare. Il sistema di cura funziona solo per numeri ristrettissimi di persone”.

Chi ha la responsabilità politica di tutto ciò? Il Ministero della Giustizia? Quello della Salute? La Regione?

“Toccherebbe al ministero della Salute e alle Asl costruire percorsi sanitari funzionanti. Ma nei fatti...”.