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di Errico Novi

Il Dubbio, 26 maggio 2022

Se la magistratura associata resta così debole, sono i pm d’assalto i soli interlocutori della politica. È in difficoltà, l’Anm: inutile negarlo. Ed è inevitabile. Sono arrivati al pettine anni di nodi ingarbugliati fra Palazzo dei Marescialli e vita associativa delle toghe. Dal deflagrare dello “scandalo” hotel Champagne allo sciopero flop dell’altro lunedì, con tappa ai verbali di Amara e annessi veleni fra pm milanesi, si è creata una costellazione di guai, per la magistratura, difficile da immaginare.

Adesso siamo lontani anni luce dalle battaglie politiche della Associazione magistrati contro la riforma Castelli o le leggi di Berlusconi. Il tentativo di contrastare il ddl Cartabia sul Csm ha avuto un esito desolante: è come se non ci fosse stato. E forse il ritardo con cui la riforma arriverà in Gazzetta ufficiale - ritardo legato solo all’esigenza leghista di non oscurare ancor di più i referendum - è una salutare boccata d’ossigeno per le correnti. Eleggere i togati del nuovo Csm a settembre anziché a luglio aiuterà a cicatrizzare un po’ le ferite delle ultime settimane.

Ma dal punto di vista della politica, la debacle mista a stato catatonico in cui versa la magistratura associata non è una buona notizia. Non lo è soprattutto per la qualità del dibattito, che nel campo della giustizia, come in qualunque altro, ha bisogno di interlocutori autorevoli ma in grado di favorire il dialogo. Anche perché nella desolazione dell’Anm - peraltro guidata oggi da una delle figure più equilibrate tra le leadership degli ultimi anni, Giuseppe Santalucia emerge inevitabilmente l’uomo forte. Ebbene sì, nella magistratura si può assistere a un fenomeno del tutto analogo a quello che si verifica nei sistemi democratici quando la struttura implode: il vuoto può essere facilmente occupato da figure oggettivamente o, come in questo caso, anche solo simbolicamente autocratiche. Se ne è avuto un nuovo esempio da Nicola Gratteri.

Intervenuto due giorni fa prima a Otto e mezzo su La 7 e poi al Maurizio Costanzo Show. Ha parlato di una magistratura in crisi sulla quale la politica ora sembra consumare le proprie vendette. E fin qui, nulla di sconvolgente, è un’analisi semplice e in parte plausibile. Ma poi Gratteri è partito lancia in resta contro la presunta debolezza delle politiche antimafia dell’attuale governo. Non ce l’aveva solo con Marta Cartabia e la sua riforma, stavolta: il procuratore di Catanzaro ha messo nel mirino soprattutto Mario Draghi: “Con lui la lotta al crimine diventa un ‘ liberi tutti’“, ha detto da Lilli Gruber. Ha concesso al premier che sì, di finanza ci capisce, ma sul resto “non tocca palla o, se la tocca, allora è anche più preoccupante”. Sul Fatto quotidiano, che ha dato ampio risalto all’avvelenata di Gratteri, si parla di “ovazione” del pubblico.

Ora, il procuratore di Catanzaro è un magistrato che ama parlare di politica della giustizia, e ne ha tutto il diritto. Ma è chiaro che la sua voce rimbomba di più nel silenzio, o al più nella semi- afasia, dell’Anm. Gratteri uomo forte. Ci sta. Inquietante? Nei limiti dell’analogia. Il pm antimafia, che ha appena sfiorato la nomina alla Procura nazionale, è una persona onesta, delle cui idee non condividiamo nulla o quasi, ma certo non è un autocrate nel senso proprio del termine. Non è lui però la controparte di cui la politica ha bisogno per costruire una nuova politica della giustizia. Serve un interlocutore organizzato, dialogante, meno incline a giudizi sospesi fra sfida e provocazione intellettuale. Serve una magistratura forte del proprio ruolo che faccia politica giudiziaria con disponibilità al confronto, con lo spirito costruttivo necessario ad aprire una pagina nuova dopo che il riverbero di Mani pulite si è irradiato per trent’anni.

Se invece avrà davanti solo i battitori liberi alla Gratteri, la politica scivolerà davvero nel conflitto inconcludente e specioso con la magistratura. Si darebbe vita a un paradigma simmetrico a quello che abbiamo sperimentato nell’ultimo trentennio. E non si arriverebbe a un Paese più attento e consapevole delle garanzie. Ebbene sì, i magistrati debbono ‘ fare politica’. Con uno stile e un approccio meno conflittuali di Gratteri. Ma senza dissolversi nell’irrilevanza burocratica della loro funzione. Serve un dibattito democratico anche sulla giustizia. Al quale, coi magistrati, partecipi da primattore anche l’avvocatura. Con il contrasto fra una politica incattivita da anni di populismo giudiziario e pochi ‘ uomini forti’ della magistratura, non si arriva da nessuna parte.