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di Simona Musco

Il Dubbio, 8 luglio 2023

Il ministero annuncia nuove strette: nel mirino, le fughe di notizie sugli avvisi di garanzia e l’imputazione coatta. “Possiamo permettercelo”, diceva ieri al Dubbio il viceministro della Giustizia Francesco Paolo Sisto. Un invito ai suoi compagni di maggioranza, forse, ad evitare scivoloni. Ma le voci - mai smentite - fatte trapelare giovedì pomeriggio in maniera scientifica da Palazzo Chigi dopo la notizia dell’imputazione coatta disposta dal gip di Roma per il sottosegretario Andrea Delmastro, indagato per rivelazione di segreto in merito al caso Donzelli, sembrano raccontare tutta un’altra storia. Anche perché l’attacco ad un istituto previsto dal codice di procedura penale da oltre trent’anni, giusto o sbagliato che sia, e definito “non consueto”, appare tecnicamente scorretto. La scelta, dunque, è stata squisitamente politica e ha consentito al governo di accusare le toghe di voler fare campagna elettorale, favorito dalla coincidenza temporale di indagini che riguardano in senso stretto o lato tre esponenti di spicco del partito della premier: Daniela Santanché, Andrea Delmastro e Ignazio La Russa, che ieri ha letto sui giornali dell’inchiesta a carico del figlio per violenza sessuale.

Il presunto “complotto” arriva in un momento già delicato del rapporto tra le due parti: dopo le polemiche per l’abolizione dell’abuso d’ufficio e lo stato d’agitazione delle toghe per l’azione del governo in tema di giustizia, all’orizzonte già si vedono nuovi provvedimenti invisi alla magistratura. E si tratta di temi non di poco conto: una stretta alle intercettazioni - partendo dalla già annunciata limitazione del budget a disposizione delle procure - il sorteggio per i componenti togati del Csm, che farebbe perdere terreno alle correnti, e la separazione delle carriere, che depotenzierebbe i pm. Una riforma, quest’ultima, per ora solo annunciata ma che si farà, come promesso proprio da Delmastro solo pochi giorni fa alla festa dei giovani di Fratelli d’Italia.

Nordio, che finora voci provenienti da ambienti di maggioranza davano per “frenato” dalla presidente Giorgia Meloni, decisa a non inasprire i toni con la magistratura come avveniva ai tempi di Silvio Berlusconi, ieri ha sciolto le briglie, facendo partire da via Arenula tre diverse note che chiariscono ulteriormente l’intenzione di non lasciar correre. Il primo punto riguarda l’avviso di garanzia, prendendo spunto dal caso Santanché e da quella che secondo Palazzo Chigi è stata una fuga di notizie pilotata. “Fonti ministeriali manifestano, ancora una volta, lo sconcerto e il disagio per l’ennesima comunicazione a mezzo stampa di un atto che dovrebbe rimanere riservato - si legge in una nota impersonale.

La riforma proposta mira ad eliminare questa anomalia tutelando l’onore di ogni cittadino presunto innocente sino a condanna definitiva”. Il secondo riguarda, invece, i timori manifestati dal Commissario alla Giustizia Ue, Didier Reynders, che in un’intervista a Repubblica si era detto “preoccupato” per l’abolizione dell’abuso d’ufficio in tema di lotta alla corruzione.

“Il ministro Nordio - che in questo caso si palesa - ha ribadito al Commissario che il codice penale italiano prevede un intero titolo dedicato ai delitti contro la pubblica amministrazione e che in tale contesto l’abuso di ufficio rappresenta una fattispecie residuale, con funzione di chiusura del sistema, applicabile soltanto ove non possa configurarsi un diverso e più grave reato”, si legge nella nota. Sono 18 le fattispecie, che garantiscono “un sistema in grado di colpire efficacemente ogni condotta aggressiva del bene tutelato”.

Dunque le condotte rientranti nell’alveo dell’attuale abuso d’ufficio, dopo la sua abolizione, non rimarranno prive di intervento, ma “saranno più correttamente inquadrate nel contesto del sindacato giurisdizionale sull’azione amministrativa da parte del giudice amministrativo”, ha sottolineato, snocciolando dati e statistiche e garantendo un alleggerimento del lavoro degli uffici gradita all’Ue in ottica di attuazione del Pnrr. Terzo dato, quello più spinoso (ancora una volta affrontato impersonalmente), l’attacco all’imputazione coatta, strumento che, si legge in una nota, “dimostra l’irrazionalità del nostro sistema”.

Il pm, infatti, nel processo insisterà sul proscioglimento - salvo rinnegare se stesso. E qui arriva il capovolgimento di fronte rispetto alla narrazione finora proposta: una difesa del pm, che “è il monopolista dell’azione penale e quindi razionalmente non può essere smentito da un giudice sulla base di elementi cui l’accusatore stesso non crede”. Una frase scivolosa, dal momento che contempla un’adesione totale del giudice alla tesi del pm, finora ritenuta deleteria. Ma dal momento che la maggior parte delle imputazioni coatte “si conclude con assoluzioni dopo processi lunghi e dolorosi quanto inutili”, continua il ministero, “è necessaria una riforma radicale che attui pienamente il sistema accusatorio”.

A via Arenula, intanto, l’aria è tesa e la preoccupazione è palpabile. Un clima di scontro non favorisce le riforme, afferma una fonte interna, secondo cui “alzare il livello delle polemiche serve solo a rallentare o impedire” che le stesse vadano in porto. Non è interesse di chi vuole farle, dunque, alzare i toni. Ma Palazzo Chigi prima e il ministero poi, con le rispettive note stampa, sembrano andare in un’altra direzione. Una reazione al rombo dei motori della magistratura, forse, per dimostrare che la politica non ha paura.

Ma intanto “il pericolo di creare contrapposizioni che poi rischiano di essere produttivamente sterili c’è - conclude la fonte -. Forse c’è chi vuole lavorare per impedire le cose”. A dare manforte al ministro ci pensa l’Unione delle Camere penali: “Sono lieto che ci si renda conto delle problematiche della giustizia penale anche se sarebbe meglio che questo accadesse non solo quando queste problematiche colpiscono la politica”, ha commentato a La Presse il presidente Giandomenico Caiazza. Che concorda con il ministero per quanto riguarda le considerazioni sull’imputazione coatta, “ma è una norma che esiste dalla fine degli anni ottanta. Ce ne accorgiamo solo ora? Meglio tardi che mai. Speriamo se ne traggano le conseguenze”.