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di Domenico Affinito e Milena Gabanelli

Corriere della Sera, 14 marzo 2023

L’immigrazione è un fatto strutturale, e l’Italia non può sfuggire al proprio destino geografico perché è il Paese di primo approdo. Per gestire il fenomeno e fermare i trafficanti di esseri umani - si va ripetendo da tempo - la strada è una sola: canali di ingresso regolari. Un messaggio che la premier Giorgia Meloni ribadisce con enfasi giovedì 9 marzo a Cutro. Ma cosa vuol dire canali di ingresso regolari? Lo spiega al Senato il 16 novembre 2022 lo stesso ministro dell’Interno Matteo Piantedosi che dice esattamente questo: “L’idea è di creare percorsi di ingresso legale in favore di quei Paesi terzi che garantiscano concretamente la loro collaborazione e la prevenzione delle partenze e soprattutto nell’attuazione dei rimpatri. Si tratta di (…) rivedere gli attuali meccanismi (…) per i cosiddetti decreti flussi, inserendo uno strumento premiale per i Paesi più impegnati nella lotta all’immigrazione illegale, con l’obiettivo di contrastare il traffico dei migranti e, al contempo, rafforzare i canali di ingresso legale”. Lo annuncia, ma non lo fa, e ancora oggi è lettera morta. Vediamo perché.

Cos’è il decreto flussi - Le quote massime di stranieri extra Ue da ammettere regolarmente in Italia vengono stabilite annualmente con un provvedimento del Presidente del Consiglio conosciuto come “decreto flussi”. Lo prevede il Testo unico dell’immigrazione del 1998 (art. 3, comma 4), poi modificato dalla legge Bossi-Fini del 2002. Di fatto ogni anno viene quantificata la manodopera che serve e gli immigrati che vogliono arrivare regolarmente in Italia devono già avere un contratto di lavoro in tasca. L’ultimo “decreto flussi” viene approvato lo scorso 29 dicembre ed entrerà in vigore il 27 marzo. La quota per il 2023 è di 82.705 immigrati. I numeri sono ripartiti tra 44 mila stagionali e 38.705 non stagionali. È il numero più alto degli ultimi 10 anni, ma 24.105 devono arrivare da una lista di 33 Paesi, 14 dei quali con gli arrivi dai barconi non c’entrano nulla: Albania, Bosnia, Corea del Sud, El Salvador, Georgia, Giappone, Guatemala, Kosovo, Mauritius, Montenegro, Perù, Macedonia, Serbia e Ucraina. Solo 6.000 gli ingressi previsti per i lavoratori subordinati non stagionali per i Paesi “con i quali nel corso dell’anno 2023 entrino in vigore accordi di cooperazione in materia migratoria”. Con un passaggio in più. Ecco come funziona il meccanismo.

Come funziona - Il datore di lavoro che vuole assumere un immigrato deve prima di tutto verificare presso un Centro per l’impiego che non vi sia un lavoratore già disponibile in Italia, una formalità che il governo Meloni ha trasformato in un obbligo. Se dopo 15 giorni non c’è risposta, o se il lavoratore segnalato non va bene, occorre depositare domanda con i dati anagrafici dell’immigrato da assumere allo Sportello unico per l’immigrazione. La Prefettura si prende fino a 30 giorni per il rilascio del nulla osta, dopo avere controllato che la richiesta sia dentro le quote. A questo punto viene attivata la Rappresentanza diplomatica italiana nel Paese di origine dell’immigrato per il rilascio del visto. La procedura, che richiede almeno altri 20 giorni, prevede che il lavoratore sia nel suo Paese di origine. Ora, quale datore di lavoro assume una persona che non ha mai visto e senza nemmeno sapere quando potrà arrivare? È evidente che si tratta di un irregolare già in Italia: e il “decreto flussi” così concepito è solo una regolarizzazione mascherata. L’immigrato deve tornare al suo Paese per ritirare il visto e poi ripresentarsi, con una perdita di tempo di almeno due mesi. In sostanza è sempre la stessa finzione che va avanti da 20 anni, con l’aggiunta di una burocrazia ancor più complessa, oltre ad essere inefficace poiché non incide minimamente sulle partenze. Occorre quindi fare quello che viene annunciato da anni: coinvolgere i Paesi di origine affinché abbiano interesse a combattere l’illegalità.

Ruoli e norme sbagliati - Torniamo al ministro Piantedosi: perché annuncia un decreto e poi di fatto rinnova sempre lo stesso senza modificare una virgola? La risposta è nella sua posizione debole, cioè quella di ministro tecnico in un governo politico, in un ruolo che è politico per eccellenza, e di solito espressione del partito di maggioranza. In sostanza per andare in Parlamento a dire “cambiamo la Bossi-Fini” ci vuole quel peso politico che Piantedosi non ha. Il tema è spinoso, e la tragedia di Cutro costringe la Presidente del Consiglio Meloni ad assumerne la guida. Il decreto varato nel paese calabro prevede pene severissime per gli scafisti. Per punirli però bisogna prenderli, e all’orizzonte non c’è un’equivalente della missione Sophia che fino al 2019 faceva anche questo. Si parla ancora di permessi legali, si invitano i Paesi di partenza a fermare i criminali del mare, ma la bozza non cambia la sostanza della “Bossi-Fini”.

Come dovrebbe essere - Un vero “decreto flussi” deve cambiare impostazione. Nel 2022 su 105.140 sbarchi, più della metà dei migranti arriva da tre Paesi: 20.542 dall’Egitto, 18.148 dalla Tunisia e 14.982 dal Bangladesh. Gli accordi vanno fatti proprio con quei Paesi dove c’è il maggior numero di partenze. Ma cosa si intende per accordi? Prendiamo i Paesi del nord Africa, dove c’è una forte crisi economica: per quale ragione i governi dovrebbero impedire ai loro giovani che non hanno lavoro di partire? Solo in cambio di una contropartita. Concedendo per esempio alla Tunisia 20.000 ingressi legali con la condizione che si riprenda automaticamente l’emigrante illegale in più, a prescindere dal luogo da dove è partito. E le liste di chi avrà un visto le deve fare il governo tunisino presso i nostri consolati e ambasciate, in base alle esigenze richieste dal nostro mercato del lavoro, e dopo avere fatto un corso di lingua e un po’ di formazione. Passaggi cruciali per predisporre all’integrazione. Su questi presupposti i Paesi hanno tutto l’interesse a collaborare, perché si troveranno meno disoccupati in casa e potranno poi contare sulle rimesse dei loro giovani che lavoreranno con contratti regolari, e non sottopagati e in nero. Banca Mondiale rende noto quanto ha incassato l’India dai suoi migranti nel 2022: 100 miliardi di dollari. Sono i soldi spediti a migliaia di famiglie delle zone più povere del Paese, e che consentono di mandare i figli a scuola e avere una migliore assistenza sanitaria. Questo avviene proprio perché negli ultimi anni l’India ha fatto accordi con quei Paesi dove gli stipendi sono più alti: Singapore, Stati Uniti, Gran Bretagna. Infatti, verso i Paesi del Golfo, che pure attrae manovalanza, ma pagano peggio, i flussi dall’India sono in calo.

I lavoratori che mancano - Intervenire in questa direzione è urgente per due ragioni. Primo: 9.470 sbarchi nel mese di febbraio non li abbiamo avuti nemmeno nel 2016, l’anno più terribile con 181.436 arrivi. Secondo: siamo il Paese europeo con il maggior calo demografico e non riusciamo a rimpiazzare nemmeno chi va in pensione.

Dal rapporto annuale della fondazione Moressa l’Italia ha bisogno di 534 mila lavoratori subordinati non stagionali, e di questi almeno 80 mila stranieri per coprire quei lavori che gli italiani non svolgono più. L’ultimo decreto flussi ne copre meno della metà: le quote messe a disposizione per i lavoratori subordinati sono 30.105 sui 38.705 non stagionali, gli altri 1.600 sono autonomi e 7.000 permessi convertiti. Nella promessa della Meloni c’è l’intenzione di aumentare i numeri, ma attraverso il solito meccanismo che di fatto regolarizza chi è già sul territorio italiano, dopo averlo rimandato al suo Paese a prendere il visto. I settori con il maggiore fabbisogno sono il commercio e turismo (54,3%), mentre a livello territoriale le necessità riguardano soprattutto al Nord-Ovest (34,0%) e Nord-Est (26,4%).

Cosa serve allora? Una nuova una legge quadro, fatta di accordi bilaterali con i Paesi di provenienza, e dentro a un piano europeo di aiuti economici per la gestione dei flussi. Bruxelles si è già espressa a favore. Val la pena di ricordare che perfino l’Ungheria (che non ne vuol sapere di prendersi migranti) nel 2017 mise 30 milioni per fermare gli arrivi nel sud della Libia. E la Libia è anche il Paese dove prospera, a un passo dalle nostre coste, la più fitta, estesa e organizzata rete di tratta dei migranti. Attenzione: cambiando la Bossi Fini in Libia non verrebbe rimpatriato nessuno perché dalla Tripolitania, e Cirenaica non partono cittadini libici, ma migranti tunisini, egiziani, eritrei ecc. È quindi compito degli Stati stroncare con una gestione legale quella criminale.