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di Alessandro Parrotta*

Il Dubbio, 3 luglio 2023

Aumentano le pene previste che vanno da un anno e 6 mesi a 4 anni e 6 mesi. Per il reato così modificato si propone di introdurre una causa di non punibilità se l’autore collabora con la giustizia. È prossima ad approdare in Parlamento la riforma penale del ministro Carlo Nordio. Tante le novità, da tempo annunciate, alle quali il guardasigilli si è dedicato sin dall’insediamento dell’esecutivo, che - sommariamente - concernono la cancellazione dell’abuso d’ufficio, modifiche al traffico di influenze illecite, fortemente ridimensionato, stretta sulla pubblicazione delle intercettazioni a tutela dei terzi non coinvolti nelle indagini e sulla custodia cautelare, limiti alla possibilità per i pm di ricorrere in appello.

Riforme, dichiaratamente finalizzate al ripristino (ovvero alla sua introduzione, più probabilmente) di un diritto penale realmente liberale e ispirato ai principi cardine del sistema accusatorio. In particolare, tra queste riforme, non ha trovato finora particolare risalto quella in materia di traffico di influenze illecite, reato che aveva assorbito il millantato credito, che viene meglio definito e tipizzato e “limitato a condotte particolarmente gravi”. Aumentano le pene previste che vanno da un anno e 6 mesi a 4 anni e 6 mesi. Per il reato così modificato si propone di introdurre una causa di non punibilità se l’autore collabora con la giustizia.

Si tratta, dunque, di una rivisitazione della fattispecie che ben si insinua nelle linee di fondo di riforma dei delitti contro la Pa, tra cui, oltre a quello in esame, quello sull’abuso d’ufficio. Linee di fondo che tentano di dare ampio respiro alle istanze degli amministratori locali i quali troppo spesso lamentano le difficoltà di svolgere in serenità il proprio lavoro per il rischio di apertura di procedimenti penali a loro carico, con unica conseguenza quella di creare una “Amministrazione difensiva” che non fa bene al Paese, alla sua economia e all’immagine che si vuole dare all’estero. Non è un caso se gli investitori stranieri - pur apprezzando le infinite bellezze del Paese - si dimostrano assai restii ad investirci: di tutto questo, la macchina della pubblica amministrazione è la principale osteggiatrice.

Maggiore chiarezza, dunque, ma - anche - in ossequio ad un principio di offensività, limitazione alle condotte più gravi e più aggressive del c.d. munus pubblico. In quest’ottica, così come positivamente avvenuto in altri settori dell’ordinamento, si deve leggere l’introduzione di una causa di non punibilità per chi, autore di condotte “minori”, sia in grado di rappresentare all’Autorità giudiziaria entro quale sistema ad ampio raggio si sia inserita la condotta illecita. Una proposta di riforma, avversata dalla maggior parte dell’opposizione, che si auspica possa trovare il definitivo approdo in sede di approvazione parlamentare.

*Avvocato, direttore Ispeg