di Elisabetta de Palma
bonculture.it, 22 settembre 2019
È stato presentato ieri, ai Dialoghi di Trani, il docu-film di Fabio Cavalli "La Corte costituzionale nelle carceri": ospite d'eccezione Marta Cartabia, vicepresidente della Corte Costituzionale, protagonista, insieme ad altri 6 giudici costituzionali, del viaggio nelle carceri italiane raccontato nel film. A parlarne con lei, la giornalista di Repubblica Liana Milella.
L'iniziativa della Corte muove dalla volontà comune a tutti i suoi membri di uscire dal Palazzo e di avvicinare i cittadini alle istituzioni, movimento quanto mai necessario per la Corte Costituzionale, confusa di frequente, dice Cartabia, con la Corte di Cassazione, percepita come distante e ignorata nella specificità delle sue funzioni.
La scelta - discussa e da alcuni membri della Corte addirittura avversata - di recarsi nelle carceri, nasce dall'affermazione di un principio, che è l'assunto da cui parte la riflessione di Cartabia: la Costituzione è il baluardo a difesa dei deboli, di chi vede costantemente messi a rischio i propri diritti perché manca degli strumenti per rivendicarli.
La piena attuazione dell'art.27 è una sfida sociale, oltre che giuridica, poiché lo stigma che accompagna il detenuto dopo l'espiazione della pena è il primo responsabile del difficile e a volte impossibile reinserimento nel tessuto sociale.
Il viaggio dei giudici attraversa l'Italia, da San Vittore a Nisida, da Marassi a Lecce, e tocca quasi tutte le possibili ragioni della detenzione, dai reati di mafia alla corruzione, entra nella sezione riservata ai transgender, incontra le madri con i bambini, gli stranieri, i minori. Sono stati volutamente tenuti fuori, chiarisce Cartabia, i detenuti che soffrono di malattie psichiatriche, per il dovuto rispetto alla loro persona.
Il filo conduttore delle risposte della giudice alla nient'affatto compiacente intervista di Milella si può così riassumere: le ragioni dell'errore e la gravità del danno che si è procurato sono innumerevoli, ma lo sguardo che si rivolge a chi sta o è stato in carcere spesso è uno solo. Va cambiato lo sguardo, ecco il perché del film, che non può essere raccontato, va visto.
Le voci e i volti, i toni, le espressioni, forse incidono più delle parole che si ascoltano e che sono comunque intensissime, toccano punti nodali, interpellano le ragioni profonde della Carta costituzionale. L'immagine finale, i minori di Nisida portati a Roma a visitare loro, stavolta, il Palazzo della Consulta, e che prima di andar via lanciano di spalle l'immancabile monetina nella Fontana di Trevi, racconta la speranza come solo l'arte può fare.
Cartabia lo chiarisce subito, non è abolizionista, ritiene che la risposta dello Stato debba essere severa davanti all'errore, ma che errore assolutamente più grave e ingiustificabile sia togliere la speranza, negare la seconda possibilità a chi sbaglia. La giudice non risponde alla conseguente domanda sull'ergastolo, perché è tema di prossima discussione della Corte e pertanto non ritiene corretto esprimere il personale parere in merito.
A tutte le altre domande, anche del pubblico, la giudice ha risposto con chiarezza e assoluta onestà, senza nascondere le ragioni profonde del suo pensiero e delle sue azioni, che si radicano nella fede cristiana, riconoscendo i possibili limiti dell'immagine della detenzione che ha affermato ma rivendicandola comunque nel suo fondamento.
L'auspicio è che questo film possa girare molto, e con lui i giudici costituzionali, che possano incontrare i ragazzi nelle scuole e gli adulti che li formano, e che per tutti la Costituzione diventi plasticamente presente grazie alla testimonianza viva dell'istituzione che più la garantisce.