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di Alessandra De Filippis*

L’Unità, 18 settembre 2023

La storia di Giuseppe, detenuto psichiatrico. Il Tribunale ne ha ordinato il trasferimento in una Rems o in una comunità per pazienti autori di reato. Troppo scomodo, è finito al centro di uno scaricabarile. Giuseppe Pepe è un detenuto psichiatrico. Tecnicamente non è neanche un detenuto, poiché dichiarato parzialmente incapace di intendere e di volere e incompatibile con il regime carcerario. Quindi è semplicemente un cittadino, fragile, del quale lo Stato si deve prendere cura, avendo commesso reati a causa della sua patologia. Per ordine del Tribunale dovrebbe stare, sin dal lontano 4 luglio, in una Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), struttura presente in solo quattro città, ovvero, in attesa della REMS, in una Comunità Riabilitativa Assistenziale Psichiatrica (CRAP) dedicata a pazienti autori di reato.

Purtroppo, trattandosi di un paziente psichiatrico, mesi fa aveva creato danni nella CRAP ove si trovava ed è stato classificato come “violento”. Perciò era stato trasferito nell’infermeria del Carcere di Bari, dal quale è stato trasferito a Trani, dopo essere arrivato a colluttazione con un infermiere. Come suo difensore mi sono subito interessata (agisco pensando sempre a cosa farei io, se ciò che vedo per lavoro capitasse a me…) per fare in modo che, in attesa della REMS, che ha tempi biblici di attesa, fosse trovata una CRAP. La triste realtà del rapporto inesistente tra aree sanitarie delle carceri e detenuti, per gli psichiatrici diventa un girone infernale, a seguito dei danni creati dal DPCM del 2008, che ha spostato la competenza delle aree sanitarie delle Carceri alle ASL, ove la burocrazia, già deleteria per la cura dei cittadini liberi, per i detenuti diventa “speriamo che vada tutto bene”, e per gli psichiatrici azzera ogni intervento.

È iniziato un vero e proprio pingpong di competenze, per l’individuazione della CRAP, tra la medicina penitenziaria e il CSM di Bari, i cui uffici hanno semplicemente comunicato ai giudici che le strutture da loro richieste non hanno posto. Ho segnalato che non si stava eseguendo un ordine dell’Autorità Giudiziaria, e ho incontrato di persona i dirigenti di questi uffici, e Giuseppe è diventato un paziente ancora più scomodo, avendo un difensore che si impegna per scardinare l’assurda burocrazia che fa diventare le persone fragili e già private della libertà, niente altro che numeri statistici e pacchetti da trasferire. Hanno tutti ripetuto che Giuseppe è un violento, per giustificare la mancanza di posti nelle CRAP dedicate. Hanno scaricato le colpe alla Regione Puglia, finché la Regione non mi ha chiaramente spiegato che i posti nelle CRAP ci sono, ma che non è sua competenza individuarli.

Il posto dipende dalla volontà di chi dirige le strutture, che decide di non accettare alcuni pazienti quando sono un po’ più problematici. In piena estate, quando tutti erano in ferie, Giuseppe è stato trasferito, letteralmente come un pacchetto, presso il Reparto Osservazione Psichiatrico (ROP) del Carcere di Lecce, dove, invece di essere curato, è semplicemente sedato. Ma Giuseppe, con tutte le sue difficoltà, anche mentali, non è completamente scemo, e quando capisce che lo vogliono sedare in modo massiccio, reagisce. E quando reagisce viene messo nella “stanza liscia” per punizione, con buona pace della legge che ha disposto la chiusura degli OPG, e la cura di Giuseppe diventa quasi un crimine contro l’umanità! Gli operatori dei ROP, poi, non hanno le stesse competenze degli operatori delle CRAP, e non è neanche giusto che Giuseppe sia tranquillizzato grazie alla buona volontà degli operatori del carcere e alla possibilità di fargli chiama re più spesso famiglia e difensore.

La segnalazione fatta da me a Tribunale, DAP, medicina penitenziaria, CSM e Regione, in cui ho evidenziato che tutto ciò non sia nient’altro che un caso di cura e di giustizia negate, non ha sortito alcun effetto. Segnalazione che ho così concluso: “Lo scrivente è tristemente consapevole che quanto finora denunciato potrebbe non sortire alcun effetto, e non garantire al Sig. Pepe le cure per lui necessarie, a causa della burocrazia che spesso rende inefficaci anche le più elementari aspettative dei cittadini, ma confida che quanto scritto resti agli atti nella denegata ipotesi che il Paziente possa peggiorare, fisicamente e psichicamente, a causa del mancato riconoscimento dei suoi diritti sanitari, peraltro confermati e garantiti dall’Autorità Giudiziaria”. Concludo con una amara domanda, forse senza risposta: che cosa farebbero coloro che sono preposti a garantire la cura di Giuseppe, se si trattasse di loro o di qualche loro parente, e, soprattutto, che cosa fareste voi lettori, se si trattasse di voi o di un vostro parente?

*Avvocata