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di Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone

Il Riformista, 12 maggio 2023

Quando avrete finito di leggere questo articolo, dalle casse dell’Erario saranno usciti circa cinquecento euro per risarcimenti alle vittime di errori giudiziari. Al ritmo di 55 euro al minuto, lo Stato cerca di arginare il fenomeno dei propri cittadini arrestati o condannati da innocenti, versando loro somme di denaro il più delle volte risibili, sempre e comunque inadeguate per riparare la tragedia personale che hanno vissuto.

Il fenomeno degli errori giudiziari è il più sottovalutato, misconosciuto e trascurato problema della giustizia in Italia. Negli ultimi trent’anni ha colpito 30.231 persone, l’equivalente di un “tutto esaurito” in uno stadio di calcio di serie A come quello del Torino. Alla media di 975 casi l’anno, tutti gli anni, da un trentennio. Significa tre innocenti arrestati o condannati (e per questo risarciti dallo Stato) ogni giorno. Uno ogni otto ore.

Con tutto quello che ne consegue sia per le vittime dirette di questo scempio - sotto forma di perdita del lavoro, della reputazione, della dignità, degli affetti - sia per i familiari, condannati loro malgrado a subire l’ingiustizia. A fronte di questa emergenza, lo Stato sembra assistere imperterrito anche a un argomento che dovrebbe interessarlo ancor più direttamente, toccandolo nel portafoglio. Dal 1991 al 2021 dalle casse dell’Erario sono usciti poco meno di novecento milioni di euro in indennizzi e risarcimenti, circa 29 milioni di euro l’anno.

E il tassametro dell’ingiustizia continua a correre allo stesso ritmo. I magistrati obiettano: “Gli errori giudiziari veri e propri ogni dodici mesi si contano sulle dita di una mano”. È vero, i condannati con sentenza definitiva - e in seguito assolti dopo un processo di revisione (gli errori giudiziari in senso tecnico) -, sono in media sette all’anno. Ma poi c’è la cosiddetta “ingiusta detenzione”, che riguarda tutti quelli finiti in custodia cautelare salvo poi essere riconosciuti innocenti, e sono tanti, e sono troppi, citando Enzo Tortora. Costituiscono più del 99 per cento di quegli oltre trentamila di cui sopra. E riesce difficile non considerarli vittime di errori giudiziari solo perché non rientrano nella definizione di un codice. Un numero enorme di loro si è ritrovato con un’ordinanza di custodia cautelare sul groppone per colpa di sciatteria o superficialità investigativa, errori di interpretazione di intercettazioni, scambi di persona, dimenticanze e negligenze di ogni tipo. Se ne volete un campionario, non avete altro che da sfogliare le pagine di www.errorigiudiziari.com, l’archivio web che noi stessi abbiamo fondato ormai quasi vent’anni fa e che costituisce una casistica unica in Italia con i suoi oltre 870 casi di innocenti in manette.

Non tutti sono stati risarciti. Ogni anno solo il 25 per cento del totale delle istanze di riparazione per ingiusta detenzione viene accolto. Tutto il resto è respinto. Sulla base di un comma del codice di procedura penale la cui interpretazione è stata resa sempre più restrittiva, e anche in omaggio alla necessità per lo Stato di arginare la colossale spesa in risarcimenti.

Così, chi si vede respingere la domanda e sfumare i 235 euro e spiccioli per ciascun giorno di custodia cautelare in carcere (la metà in caso di domiciliari), finisce nell’esercito degli “innocenti invisibili” insieme con coloro che, usciti da una vicenda spesso lunga, non ne vogliono più sapere di aule giudiziarie e rinunciano a chiedere un indennizzo; e insieme a quelli che, avendo già speso somme altissime per difendersi, non hanno più risorse per permettersi di continuare il percorso che li porterebbe a un risarcimento. Se consideriamo tutti questi, arriveremmo ad almeno cinquantacinquemila innocenti, più o meno i residenti di una città come Trapani.

Finire arrestato o condannato da innocente può capitare a tutti. È successo al pastore sardo Melchiorre Contena, accusato di sequestro di persona e di omicidio di un imprenditore milanese. Scontò tutti e trenta gli anni di reclusione che gli erano stati inflitti: i giudici avevano dato credito alle dichiarazioni di un uomo che aveva 35 denunce sulle spalle per falsa testimonianza, simulazione di reato e furto. Contena entrò in carcere a 38 anni, ne uscì quando ne aveva 69 nel 2007. È il caso più grave mai registrato in Italia.

Secondo, ma solo per lunghezza della detenzione, fu quello di Giuseppe Gulotta. Con un interrogatorio violento fu costretto a confessare di aver partecipato all’omicidio di due carabinieri ad Alcamo Marina, vicino a Trapani. Era il gennaio 1976. Condannato all’ergastolo, ha ritrovato la libertà solo dopo aver scontato 22 anni di carcere. È stato scagionato, con un processo di revisione, grazie alle dichiarazioni di un carabiniere presente il giorno dell’arresto.

E poi c’è la surreale vicenda di Angelo Massaro, che ha passato 21 anni in una cella con l’accusa di omicidio per colpa di una consonante. In un’intercettazione una “S” diventa “T”, la parola “muers”, in dialetto tarantino oggetto ingombrante, diventa “muert”, cadavere. Un delitto mai dimostrato: mancavano il corpo, l’arma e il movente. Uno dei più gravi errori giudiziari italiani di sempre, raccontato nel recente docufilm “Peso Morto”, che abbiamo scritto e prodotto.

In cella con Massaro c’era un altro uomo accusato da innocente (dallo stesso pm) di un duplice omicidio, Domenico Morrone. Malgrado avesse un alibi confermato da più persone, fu condannato in base a testimonianze di persone che avevano motivi di rancore nei suoi confronti. Scontò 5.475 giorni in carcere, 15 anni. Fu scagionato completamente solo grazie alle dichiarazioni di due collaboratori di giustizia.