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di Giuseppe Fin

ildolomiti.it, 12 agosto 2023

“Così non riabilita ma distrugge. Chi ha problemi di salute mentale è lasciato da solo”. Un ex detenuto ha parlato della sua vita in carcere a Trento dopo esserci arrivato nel 2020. La storia di Vittorio, l’impegno per liberarsi dalla droga e la voglia di ricostruirsi una vita. “Avevo bisogno di 300-400 euro al giorno per comprarmi la cocaina. Ora ne sono uscito, voglio ritornare a vivere. Tanti stanno male, dovrebbero essere curati in strutture adeguate”.

“Riabilitazione? Macché, lì dentro puoi contare solo sulla tua forza di volontà. Alcune volte ho visto detenuti che non venivano quasi considerati come esseri umani”. È difficile da raccontare, le cose sono tante e per chi ha vissuto dietro le sbarre ricordarle non è semplice. Vittorio (è stato chiesto l’anonimato e usiamo questo nome di fantasia) da qualche settimana è uscito dal carcere di Spini di Gardolo.

Ci era entrato nel 2020 per reati riguardanti la droga. Una decina di volte dal 1995, sempre a causa della cocaina e dell’eroina ma questa volta, ci dice, è diverso. “Mia madre è morta mentre ero in carcere, avevo il Covid, non l’ho nemmeno potuta vedere. Ho pensato a lei per avere la forza di rialzarmi, di ripulirmi da quelle schifezze. Ho chiesto di diminuire la dose di metadone che mi davano, ci sono riuscito anche grazie le mie forze ed ora sto bene e sto ricostruendo la mia vita”.

Quelli vissuti all’interno del carcere di Trento per Vittorio sono stati anni pesanti durante i quali ha visto di tutto. Dalle celle allegate a quelle incendiate. Tanti e tanti detenuti con problematiche legate alla salute mentale ai quali, purtroppo, non si riesce a dare un’assistenza adeguata.

Vittorio quando è entrato nella struttura di via Pilati è stato portato in una stanzina dove le guardie carcerarie lo hanno perquisito. Gli sono state date delle lenzuola, degli asciugamani, un piatto di ferro, delle posate ed è stato poi portato in cella.

“Dovevo scontare tre anni e cinque mesi l’ultima volta” ci racconta. “A drogarmi ho iniziato nel lontano 1987 - continua - frequentando degli amici che ne facevano uso nel fine settimana. Io avevo sempre rifiutato perché ero spaventato da questa polvere bianca che dovevo tirare su con il naso. Poi ho provato, non so nemmeno dire se mi fosse piaciuto la prima volta, ma poi non smetti più”. Da quel momento Vittorio è stato letteralmente inghiottito dal mondo della droga. “Ho iniziato con l’eroina e poi sono passato alla cocaina. Spacciavo per avere i soldi necessari per comprarmi le dosi. Dei 1500 euro circa che facevo al giorno 300 - 400 euro erano quelli che mi venivano lasciati e che io usavo per comprarmi la cocaina. Ogni giorno era così” fino a quando nel luglio del 2020 è stato fermato a Trento dalle forze dell’ordine e poi portato in carcere.

Vittorio, lei è uscito da qualche settimana dal carcere. Come è la situazione all’interno?

I numeri dei detenuti sono alti. Io sono stato in una cella di tre persone e sono stato fortunato. Con quattro diventa insostenibile. Si cerca di sopravvivere, l’importante e non inimicarsi le guardie. Ma poi si vive quasi di subutex e di metadone. Io quest’ultimo lo usavo ma poi ho deciso di smettere un po’ la volta.

L’uso degli psicofarmaci è elevato?

Enorme. Sono in tantissimi che li usano all’interno, i detenuti se li scambiano, c’è una sorta di baratto. Siamo pieni di psicofarmaci dalla mattina alla sera, l’infermeria trabocca. Poi all’interno c’è lo psichiatra, il personale sanitario che è bravo. Spesso per calmare alcuni detenuti vengono aumentate le dosi e gli effetti sono devastanti.

Ce ne sono tanti detenuti che mostrano segni di problematiche legate alla salute mentale?

Parecchi, è un macello perché ci sono situazioni davvero difficili e non dovrebbero stare in carcere. Avrebbero bisogno, pur scontando la pena, di essere seguiti meglio. Invece queste persone capita anche che vengono lasciate lì dalla mattina alla sera.

Ma a questi detenuti cosa succede?

Per loro è un continuo tira e molla. Quando hanno scontato la pena magari escono e vengono messi in qualche clinica per po’. Ma presto ritornano in carcere. Altri vengono messi ai domiciliari e finiscono per creare danni.

Lei nell’ultimo anno ci ha spiegato di aver fatto un percorso che lo ha portato a “ripulirsi” dalla dipendenza da cocaina. Non è stato semplice, quali tappe ha fatto?

Già a partire dal 2021, dopo la morte di mia madre, ho deciso che dovevo cambiare. Ho chiesto al personale del Serd di diminuire la dose di metadone che prendevo. Per stare bene bisogna stare male. Io lo sono stato ma sono stato anche capace di resistere e di rialzarmi. Alla fine volevano che continuassi a prendere almeno una dose minima di metadone per evitare di ricadere nella droga. Non ho voluto e ho smesso definitivamente.

Ora da qualche settimana è uscito dal carcere. Secondo lei riabilita?

No, certe volte ci si domanda se siamo ancora umani.

Lei ora cosa fa?

Ora sto cercando di ricostruire la mia vita. Aiuto l’ente che mi sta accogliendo. Ma l’obiettivo è quello di trovare un lavoro e una casa. So che non è semplice ma l’impegno è massimo.