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di Nadia Clementi

 

www.ladigetto.it, 5 gennaio 2015

 

"Qui si resta passando" è il titolo dello spettacolo per cui sono andati in scena i detenuti del carcere di Trento. Il nostro giornale aveva visitato il carcere di Via Pilati e ne aveva più volte sollecitato la chiusura. Era invivibile. Così, quando quello vecchio è stato chiuso e siamo andati alla presentazione e all'inaugurazione del nuovo carcere di Spini di Gardolo, ci siamo sentiti sollevati. Vedi i servizi della presentazione e dell'inaugurazione.

Ora, carcerati e guardie carcerarie almeno potevano respirare. Naturalmente è rimasto un "carcere vero" a tutti gli effetti, per cui quando abbiamo sentito che sarebbe andato in scena uno spettacolo nel carcere, l'abbiamo presentato con un senso di sollievo. Per noi è andata Nadia Clementi ad assistere allo spettacolo e scrivere il pezzo che segue.

Uno spettacolo teatrale non è molto, ma se si pensa al principio che "dilettando educa", possiamo dire che un piccolo passo avanti per il recupero della gente che ci vive e ci soffre è stato fatto. Sabato 13 dicembre 2014 dodici detenuti del nuovo Carcere di Trento, assieme ad un gruppo esterno di giovani attori italiani e stranieri, si sono esibiti con singolare entusiasmo sul palcoscenico della sala presente nella struttura penitenziaria.

In scena lo spettacolo "Qui si resta passando", il lavoro conclusivo di un laboratorio educativo che i detenuti hanno seguito sotto la direzione artistica del regista Emilio Frattini e con la collaborazione di Francesca Sorrentino e Chiara Ore Visca.

Lo spettacolo è stato co-prodotto dal Centro Servizi Culturali S. Chiara, dalle Associazioni "Con Arte e con pArte" di Trento e "Sagapò Teatro" di Bolzano, con il sostegno del Servizio Attività Culturali della Provincia Autonoma di Trento, il patrocinio del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati e il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto.

In sala è tutto esaurito, c'è fermento, attesa, inquietudine e un rincorrersi di sguardi rapidi e intensi tra gli agenti della polizia penitenziaria e il pubblico presente in sala, composto da un centinaio di detenuti e rappresentanti istituzionali della Provincia di Trento.

L'atmosfera è quella di una recita per dilettanti, le emozioni quelle che ogni attore in erba prova durante la prima esibizione sul palco; questa volta però non si è trattato di un teatro normale, gli attori non sono appassionati di filodrammatica e il pubblico non è composto da parenti e amici.

Un teatro che ha visto applausi, euforia, urla e risate, ma dove si è anche respirata la tensione dovuta al dispiegamento delle forze dell'ordine in sala che hanno vigilato sulle due ore di... "evasione" e di insolito divertimento.

Il sipario si è alzato alle 15.30, sullo sfondo di una scenografia essenziale: una piazza irreale fatta di semplici quinte nere dove bighellona un barbone, interpretato con maestria dal regista Emilio Frattini.

Seduto sulla panchina il clochard è spettatore di brevi scene di vita quotidiana, di gente che attraversando la piazza si racconta, ignara di essere osservata. Così il barbone rappresenta la figura incognita che diventa il filo conduttore tra disperazione e humor e funge anche da specchio interiore dei singoli personaggi.

Ma sono i detenuti dallo spiccato accento straniero i veri protagonisti del palcoscenico: si alternano celermente in personaggi comuni interpretando con disinvoltura la parte di fidanzato, criminale, ubriaco, agente di polizia, sportivo, ambulante, accompagnati e sostenuti dalla bravura di giovani attori professionisti.

Assieme rivivono sul palco quella vita che li aspetta al di là delle sbarre, fatta di ricordi, sogni e aspettative di un domani che ricorderanno un giorno come "Qui si resta passando".

Il pubblico applaude, divertito e sorpreso, apprezzando il lavoro svolto dal regista Frattini, che saluta e ringrazia tutti i presenti attraverso la sua mimica facciale carismatica e sorniona che ha saputo conquistare la simpatia dei detenuti, donando loro risate e momenti di riflessione sui contenuti della vita.

L'obiettivo del progetto era quello di colmare la distanza tra "il dentro e il fuori", analizzare il carcere attraverso la creatività e l'arte della recitazione cercando di favorire la crescita dei partecipanti rispetto la consapevolezza di sé, l'armonia con gli altri, le competenze umane, civili e sociali, nonché le capacità relazionali e di convivenza. La dimensione educativa, rieducativa e terapeutica del teatro è da anni oggetto di riflessioni ed esperienze: da un lato l'espressione artistica, dall'altro l'elaborazione emozionale a livello psicologico. Perché l'essere "attori" del proprio disagio o delle proprie problematiche, nel senso di agirli e di rappresentarli, consente di operare a fine terapeutico per favorire la diluizione del singolo conflitto interiore.

 

Come è nato il Teatro in carcere

 

L'idea è nata con l'entrata in vigore della Legge 663/1986, che costituisce la principale modifica alla legge di riforma dell'ordinamento penitenziario del 1975 (n. 354). Ispirandosi a esigenze di risocializzazione e rieducazione, la legge Gozzini prevede misure alternative alla pena che permettono ai detenuti di uscire dal carcere e introduce attività affidate a operatori provenienti dalla società civile. È così che il teatro è entrato in carcere grazie ai primi esperimenti di attuazione della legge e all'iniziativa di compagnie e di registi professionisti che hanno inaugurato una serie di percorsi laboratoriali destinati, nel giro di pochi anni, a disegnare una mappa di esperienze articolata sul piano nazionale.

È chiaro fin da subito che nel Teatro Carcere convivono due prospettive differenti: da una parte riconduce l'attività teatrale all'offerta "trattamentale", ossia al programma di "interventi diretti a sostenere interessi umani, culturali e professionali" del detenuto, favorendone una "costruttiva partecipazione sociale": dall'altra la ricerca teatrale scopre nella scena reclusa uno straordinario potenziale di linguaggi, storie, attitudini e risorse personali.