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ildolomiti.it, 26 febbraio 2024

Al momento le detenute e i detenuti iscritti all’Università di Trento sono cinque ma nel carcere di Spini l’esperienza di studio universitario si allarga anche verso altri atenei. “Ho deciso di iscrivermi per avere cura di me stesso. Lo studio per me è strumento di libertà consapevole, di memoria, significativa e complessa. Il suo ruolo nella mia vita è sempre stato centrale”. Le parole sono quelle che arrivano da un detenuto studente iscritto alla laurea magistrale in Filosofia.

A riportarle è “UniTrentoMag” il periodico di informazione dell’Università di Trento. UniTrentoMag raccoglie le esperienze di chi ha potuto iscriversi all’Università di Trento grazie a una convenzione tra Università e Provveditorato regionale per l’amministrazione penitenziaria di Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige nella Casa circondariale di Trento. La convenzione permette a detenuti e detenute la possibilità di non pagare le tasse universitarie, o di pagarle in modo ridotto. Questo meccanismo è comunque legato al rendimento. Bisogna conseguire un numero minimo di crediti all’anno: un modo per valorizzare l’impegno reciproco, dell’Università e di chi studia.

L’amministrazione penitenziaria facilita la frequenza mettendo a disposizione spazi dedicati per lo studio. Viene consentito di tenere un computer in cella e chi si iscrive a un corso di laurea viene affiancato da una figura di tutor. Un’occasione importante che consente di avere nuove chance e portare avanti anche vecchi progetti.

Al momento le detenute e i detenuti iscritti all’Università di Trento sono cinque. Nel carcere di Spini, però, l’esperienza di studio universitario si allarga anche verso altri atenei. Le difficoltà dello studio in carcere sono legate soprattutto alla frequenza dei corsi e alla fruizione dei materiali di studio. Le detenute e i detenuti vorrebbero una ancora maggiore interazione con l’Università. E poi il grande problema della solitudine legata all’ambiente e alla mancanza di condivisione della loro esperienza di studio con le altre persone.

Proprio per far fronte a questo senso di abbandono è stata ideata e sostenuta la convenzione siglata nell’estate 2022. “Chi studia in carcere non deve sentirsi abbandonato, ma va anzi seguito e accompagnato” ha commentato Antonia Menghini, docente di Diritto penale e penitenziario all’Università di Trento e Garante provinciale dei diritti dei detenuti. “Occorre lavorare su tre fronti. Innanzitutto, bisogna raccogliere materiali che permettano di coinvolgere realmente chi studia in carcere nella vita universitaria, a partire dalle video-registrazioni delle lezioni. Sentire la voce del docente è una piccola cosa, ma può fare la differenza. Poi bisognerebbe, in prospettiva, consentire la partecipazione alle lezioni da remoto: fino a qualche anno fa era fantascienza, ma ora la tecnologia consente di farlo. Infine è necessario investire sul ruolo di tutor, individuando queste figure anche tra dottorandi, dottorande e docenti”. Un altro passo importante nella formazione universitaria sono tirocini e stage, sulla cui attuazione in carcere rimangono però ancora vari ostacoli e i corsi che li prevedono vengono spesso sconsigliati.