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di Milvana Citter

Corriere del Veneto, 23 agosto 2023

Detenuti con disagio psichico, altri con problemi di tossicodipendenza. Nella casa circondariale di Santa Bona a Treviso sarebbero oltre 30 su un totale di 215 detenuti. Troppi per poter essere gestiti in sicurezza dalla polizia penitenziaria. A denunciarlo i sindacati di polizia che chiedono lo stato di emergenza delle carceri e nuove leggi. A riportare l’attenzione su una questione già più volte denunciata, l’ennesima aggressione subita dagli agenti del carcere di Santa Bona domenica notte. Ad aggredirli un 36enne con problemi psichici che, già in passato aveva dato in escandescenza. L’uomo, utilizzando dei giornali come innesco ha dato fuoco alle lenzuola e alle coperte della sua cella, provocando subito un fumo intenso e acre. Sette gli agenti che sono dovuti intervenire per domare le fiamme con gli estintori ma soprattutto per calmare il detenuto che li ha ripetutamente colpiti con la gamba di un tavolo. Quando, dopo ore, sono riusciti a bloccarlo, cinque agenti sono dovuti ricorrere alle cure del pronto soccorso per lievi intossicazioni e per un polso fratturato.

A scatenare l’ira dell’uomo, secondo i sindacati, sarebbero i disturbi psichici di cui soffrirebbe. Una condizione molto diffusa. “Il 15% dei detenuti di Santa Bona presenta disturbi psichici o ha problemi di tossicodipendenza - spiega Giampiero Pegoraro segretario regionale Fp polizia -. Per queste persone il carcere non è il luogo adatto e la loro, in queste condizioni, diventa una doppia condanna”.

Il 36enne aveva già perso il controllo in passato e, date le sue condizioni, è stato spostato in un reparto con maggiore sorveglianza ma non è bastato. Per questo Pegoraro rilancia. “Da quando gli ospedali giudiziari sono stati chiusi e sostituiti dalle Rems (Residenze per le misure di sicurezza) che sono insufficienti, questi detenuti vengono messi in carcere. Ma il carcere di Santa Bona, che è già sovraffollato (la capienza massima sarebbe di 140 detenuti), non può essere la panacea di tutti i mali. Questo crea problemi di sicurezza non solo interna per la polizia penitenziaria, ma anche per la cittadinanza perché quando li si porta in ospedale, spesso aggrediscono il personale sanitario o gli altri pazienti”.

Secondo la Fp Cgil serve una riforma del codice penale che consenta di non mandare in carcere chi compie reati minori. “Dovrebbe essere potenziato il servizio di affidamento in prova - conclude Pegoraro -, per chi compie reati, che non siano contro la persona, e per chi ha i residui di pena. E invece dalla politica arrivano solo proclami di inasprimento delle pene”. Il problema delle carceri è aggravato anche dall’afflusso dei profughi che commettono reati, come spiega Leonardo Angiulli, responsabile per il Triveneto dell’Unione Sindacati di Polizia (Uspp).

“Molte di queste persone si portano un vissuto complesso e malattie psichiche patologiche che sono difficili da gestire in carcere. E questo si somma a quello che per noi è stato un grande errore, e cioè abolire la medicina penitenziaria e affidare la cura dei detenuti al servizio sanitario nazionale.

Questo provoca grandi difficoltà di continuità assistenziale e per quelle situazioni, come il disturbo psichico o la tossicodipendenza che necessitano di interventi tempestivi”. Motivi per i quali l’Uspp chiede che “il servizio sanitario torni ad essere di competenza degli istituti di pena”.

“Servono medici e infermieri penitenziari - conclude Angiulli - penso che si possano trovare soluzioni con le aziende sanitarie. In attesa che ciò avvenga con una riforma che richiede tempo e un intervento del legislatore va decretato lo stato di emergenza delle carceri”.