di Elisabetta Burla*
triesteallnews.it, 4 aprile 2020
E siamo giunti a leggere la prima notizia di decesso di un detenuto per Coronavirus. Una notizia che, forse, la maggior parte delle persone leggerà distrattamente, qualcuno commenterà cinicamente riflettendo che tanto "era un delinquente" e cosa sarà mai, sono morte così tante persone, brave persone, oneste, che non avevano fatto nulla di male, perché mai dare attenzione a un fatto del genere. Non ci si aspetta che la popolazione possa capire la delicatezza del momento, non ci si aspetta comprensione - la politica della sicurezza ha ormai infettato il pensiero di molti - ci si aspetta un ragionamento, la logica e, se vogliamo, un intervento utile, non per i detenuti, per tutti.
I detenuti sono al sicuro, chiusi nelle carceri, limitati nei loro spostamenti tra una cella e lo spazio comune dei tratti, una convivenza forzata tra persone sconosciute con cui condividere tutto: il tavolo su cui mangiare, la pentola, gli sgabelli, il telecomando (eh sì, hanno la televisione), il bagno. In numero ben più considerevole si usano, in comune, le docce. Gli spazi sono limitati, la distanza sociale di 1 metro è impensabile da rispettare e la quarantena, che tutti noi della società libera, rispettiamo - e a dirla con onestà non sempre, visti i numerosi controlli e le violazioni riscontrate dalle Forze di Polizia - non si può effettuare. Non si può!
Il carcere non è un mondo a parte, non è una società autosufficiente, estranea e isolata dal resto, è una parte del tutto. Agenti della Polizia Penitenziaria entrano e escono dagli Istituti a seconda dei turni e degli incombenti; il personale civile e amministrativo, in genere, si reca in carcere per svolgere la propria attività lavorativa per poi tornare a casa; alcune udienze continuano a svolgersi, e alcuni detenuti sono ancora accompagnati presso le aule dei tribunali o delle corti d'appello, la videoconferenza non sempre funziona e non in tutte le realtà è attiva; la posta deve essere consegnata; l'acquisto dei generi di sopravvitto non può essere sospesa e la cucina per assicurare i pasti quotidiani deve pur rifornirsi dei generi alimentari necessari: altre persone che entrano, consegnano; e i medici e gli infermieri? Certo, anche loro entrano ed escono dal carcere come prima, e come sarà dopo questo periodo di pandemia per visitare e curare tutte le altre patologie di cui soffrono le persone che sono recluse. Patologie anche importanti.
E ci sono i nuovi giunti, coloro che vengono arrestati e che entrano in carcere o che vengono trasferiti per motivi disciplinari, di sicurezza. Il sovraffollamento non consente di isolarli, non succede praticamente mai. È impossibile per gli spazi a disposizione.
Ecco, non sono i detenuti che già si trovano reclusi nel singolo istituto, che possono essere il veicolo del contagio; sono tutte le altre persone che entrano che possono costituire il veicolo di contagio. E tutte queste persone che entrano e escono, che sono state e sono in contatto con altri, che continuano la loro vita, con i limiti imposti dalla quarantena, ma che si spostano sul territorio, quali protezioni hanno? Praticamente nessuna.
Da febbraio 2020 i vertici dell'amministrazione penitenziaria hanno prescritto l'adozione dei dispositivi di protezione individuali (gel disinfettante, guanti, mascherine); fino a poco tempo fa si era fortunati ad avere il sapone, ora si vedono i distributori di gel disinfettante, qualcuno usa i guanti, le mascherine sono state oggetto di vivaci proteste. E sono assolutamente fondate. Una striscia di tessuto, sarà anche quello funzionale allo scopo, con due fori all'estremità dove infilare le orecchie; poco importa che ognuno ha una sua conformazione: faccia pasciuta, testa grande, naso pronunciato, le orecchie non possono fare ingresso nelle fessure, la mascherina non si può adoperare; faccia minuta, lineamenti sottili, le orecchie anche entrano nelle fessure ma la striscia può penzolare. Non parliamo dell'adesione al volto, praticamente impossibile anche per i pochi che dovessero rispondere alle "misure" della mascherina.
Mascherine che - da molte fonti - apprendiamo essere lo strumento più efficace per evitare di diffondere il virus, mascherine quindi che dovrebbero proteggere le persone detenute che vivono in quella bolla che molti considerano estranea al resto del mondo.
Ma che succede se in quel mondo dovesse diffondersi il virus?
Ecco dovranno essere necessariamente trasportati in un luogo ove sia possibile l'isolamento e offrire le cure adeguate, negli ospedali. E allora il problema - forse - sarà compreso anche da coloro che non vogliono capire, che non vogliono comprendere. Sarà il caso che anche nelle carceri s'inizi ad effettuare i tamponi al personale - soprattutto a quello che entra in contatto con i detenuti - e che sia dotato di dispositivi di protezione individuale adeguati ed efficaci; sarà il caso che i tamponi vengano effettuati anche ai nuovi giunti con l'ulteriore previsione di vederli collocati in tratti diversi per un periodo di quarantena. Forse non ci si rende conto che detenuti e personale tutto sono delle persone, hanno dei genitori, dei fratelli, dei coniugi/conviventi, dei figli, sono preoccupati per la loro salute e per quella dei loro cari, sono in apprensione per quanto potrebbe accadere. Si chiede responsabilità e rispetto delle regole, si crede sia doveroso dare un segnale di responsabilità e di rispetto delle regole - incidentalmente disposte proprio da coloro che al momento non ne garantiscono l'adozione.
*Garante comunale dei diritti dei detenuti di Trieste