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di Flavio Vanetti

Corriere della Sera, 20 ottobre 2023

Il progetto “The Cagers” voluto fal governo, si svilupperà a Trieste, dove una squadra di detenuti si allenerà per un anno agli ordini di quattro ex cestisti di alto livello. Si chiamerà “The Cagers” - il nome, come vedremo, ci riporta proprio agli albori della pallacanestro - ed è un progetto che ha il sostegno di due Ministeri, quello della Giustizia e quello per lo Sport e i Giovani. Si svilupperà a Trieste, dove una squadra di detenuti si allenerà per un anno agli ordini di quattro ex cestisti di alto livello (due uomini e due donne) che dovranno renderla pronta a scendere sul parquet. I coach che formano questo staff tecnico di alto livello sono Federica Zudetich, Stefano Attruia, Donato Avenia e Francesca Zara. I primi tre si occupano di visionare e arruolare gli aspiranti Cagers, mentre Francesca curerà la preparazione atletica.

I quattro hanno già iniziato a girare le carceri italiane alla ricerca di detenuti/giocatori in grado di “fare squadra”, come si dice in gergo. Tutti gli istituti di pena hanno ricevuto una comunicazione per aprire le porte a questo nuovo progetto inclusivo, di alto spessore sociale che sta coprendo l’Italia, da Nord a Sud, passando per le isole. I primi allenamenti si sono svolti nelle carceri di Piazza Armerina, Caltagirone, Enna, San Cataldo, Vibo Valenzia, Augusta, Catania, Napoli, Volterra, Gorgona, Civitavecchia. E si va avanti con nuove tappe in altri istituti di pena. Qual è la missione? Da un lato portare una ventata di libertà, ma dall’altro - ed è la componente educativa del piano - ricordare che il rispetto delle regole è la base della sua esistenza. Il basket sotto questo aspetto è l’ideale per divulgare il messaggio: è infatti lo sport nel quale il “noi”, inteso come coesione del gruppo, deve sempre essere anteposto all’ “io”. Se alla fine prevarrà la voglia di riscatto di fronte a una sconfitta, quando le porte del carcere si riapriranno anche lo sport avrà contribuito al reinserimento sociale di persone a quel punto completamente nuove.

Sarà Trieste, dicevamo, la sede scelta per la nuova avventura dei Cagers. E di Trieste è proprio Stefano Attruia, 54 anni, uno dei quattro allenatori. “Una volta ero in visita ai detenuti della casa circondariale - racconta l’ex playmaker che ha militato in 14 squadre, tra queste il Real Madrid, e che vanta pure 3 presenze nella Nazionale A - e ad un certo punto ho sentito una voce che mi chiamava: “Stefano!”.

Mi giro e incontro un volto inaspettato con gli occhi di sempre, gli occhi di quando eravamo bambini. Ci siamo tuffati nei ricordi della nostra pallacanestro, le prime partite e i primi ritiri di preparazione in montagna. Il nostro abbraccio muove una sensazione: portare la palla oltre il muro per avvicinare questo contesto alla comunità sociale è una naturale conseguenza. Quello che possiamo fare noi allenatori, dentro e al di là del muro, è metterci al servizio degli altri portando tutto l’amore che abbiamo per questo sport”. Ci saranno altre storie simili, una volta completati gli innesti, che si aggiungeranno a questa. E gli allenatori dovranno anche battere timidezze e scetticismo. Ma una volta costituita, la squadra vivrà un anno senza sconti, con i ritmi tipici di una realtà professionistica: tolta la ruggine alle articolazioni, potenziati i muscoli, imparati gli schemi, dovrà dimostrare di saper stare in campo.

Dicevamo all’inizio che questo progetto ci riporta agli albori del basket. Dopo che James Naismith lo aveva inventato (21 dicembre 1891), le prime sfide furono disputate in una gabbia, in inglese cage. I giornalisti parlavano appunto di “the Cage Game”, “il Gioco della Gabbia”, perché lo scopo delle recinzioni era di proteggere gli sportivi dal lancio di oggetti da parte del pubblico, molto più vicino al campo rispetto ad altri sport (volavano bottiglie, monete, sedie…). Ma la gabbia serviva anche a tutelare i tifosi da giocatori più grandi e grossi del normale e pronti a rispondere alle provocazioni. Vabbé, i tempi sono cambiati e nel caso di questa iniziativa la parola cage si riferisce solo allo stato di reclusione dei giocatori. Ma con la prospettiva, come detto, che anche il basket contribuisca alla loro futura libertà.