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di Chiara D’Incà

triesteallnews.it, 13 luglio 2022

La scuola è aperta a tutti, lo dice la Costituzione nell’articolo 34. Ma nelle carceri? Secondo l’articolo 1 dell’Ordinamento penitenziario, “Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti”.

Diverse esigenze, ma un filo comune: il reinserimento sociale. E proprio ponendosi questo obiettivo, proseguendo la scorsa all’Ordinamento contenuto in Gazzetta Ufficiale, si arriva all’articolo 19, quello dedicato specificamente all’istruzione nelle strutture detentive.

“Negli istituti penitenziari la formazione culturale e professionale, è curata mediante l’organizzazione dei corsi della scuola d’obbligo e di corsi di addestramento professionale, secondo gli orientamenti vigenti e con l’ausilio di metodi adeguati alla condizione dei soggetti”. Ancora una volta la “condizione” del singolo è fondamentale: Treccani alla mano, per condizione si intende lo “Stato fisico, morale o finanziario di una persona”. La persona, le sue peculiarità e le sue necessità devono essere al centro per garantire la migliore istruzione in un’ottica di reinserimento sociale.

Un tema certamente caldo in tutta la Penisola è quello del reinserimento dei detenuti nella società dopo aver scontato la pena, ma che è ancora oggi troppo poco affrontato. Un’occasione di riflessione a riguardo è stata la consegna dei diplomi e delle certificazioni linguistiche conseguite dagli studenti detenuti che hanno frequentato e concluso positivamente i percorsi d’istruzione offerti dal CPIA (centro provinciale istruzione adulti) presso la Casa Circondariale “Ernesto Mari” di Trieste: attestati A2, competenza linguistica, diploma di terza media e attestati dei PON (progetti realizzati con fondi strutturali europei) svolti da alcune insegnanti al di fuori del contesto scolastico “tradizionale”. Presente alla consegna la capogruppo del Partito Democratico alla Camera dei deputati, Debora Serracchiani.

Percorsi d’istruzione fondamentali per il percorso di vita dei detenuti, essenziali da tenere “nella cassetta degli attrezzi di queste persone, per reinserirsi a tutto tondo all’interno della società” riprendendo le parole della deputata.

Tra i percorsi di formazione svolti nel carcere di Via Coroneo rientrano per l’appunto i PON Inclusione (Programma Operativo Nazionale Inclusione), cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo, che rappresenta una misura nazionale di contrasto alla povertà. Un PON dedicato all’inclusione che coinvolge anche la formazione nelle strutture detentive che, con la Strategia Europa 2020, desidera ridurre entro dieci anni il numero delle persone in condizione o a rischio povertà ed esclusione sociale di almeno 20 milioni. Nella pagina dedicata al Progetto M.I.L.I.A. - Modelli sperimentali di intervento per il lavoro e l’inclusione attiva delle persone in esecuzione penale - inserito nel PON Inclusione - del Ministero del lavoro e delle Politiche sociali si legge come “Recenti studi dimostrano che il tasso di recidiva è molto inferiore nei soggetti che durante il periodo di esecuzione della pena abbiano avuto l’opportunità di svolgere attività formative e lavorative. Ciò è determinato, prevalentemente, dal reinserimento nel tessuto produttivo conseguente all’acquisizione di professionalità richieste dal mercato del lavoro”. Il fine è trasmettere ai detenuti le competenze e le professionalità necessarie a garantir loro una continuità lavorativa nel momento del ritorno in libertà.

Diversi quindi i piani d’azione che si dovrebbero seguire: in primis porre in risalto l’importanza del Lifelong learning, idea europea che “dovrebbe avere ora una ricaduta concreta” dichiara la dirigente scolastica, Susanna Tessaro. Un percorso di studi, quello offerto dal CPIA, che peraltro non è circoscritto alla struttura detentiva: una volta scontata la pena è infatti possibile ultimare gli studi anche al di fuori della casa circondariale; ma il carcerato prediligerà probabilmente una formazione lavorativa, ma non basta. “Ci si deve impegnare sul far comprendere l’importanza della scuola. La licenza media è conseguita da tutti, ma ci dovrebbe essere un corso formativo superiore, o comunque dei corsi trasversali in modo che la persona possa accrescere il proprio bagaglio conoscitivo” sottolinea Chiara Miccoli, funzionario giuridico pedagogico. La seconda direttrice riguarda, come rimarca l’Ordinamento penitenziario, la condizione del soggetto, poiché “Per poter fare formazione ci vorrebbe un distinguo. Abbiamo carcerati dai 18 ai 90 anni; c’è una problematica che si genera relativa al reinserimento nel mondo del lavoro a causa dell’eterogeneità nelle classi. Non è possibile garantire una formazione completa” continua Miccoli “si nota quindi che le attività formative restano legate ad un numero circoscritto senza mai ampliare il raggio.”

Sono quindi necessarie “Risposte diverse per esigenze diverse” rimarca Serracchiani, per “ricostruire un percorso formativo”. Un altro punto saliente non è una direttrice da seguire, ma una problematica da risolvere: la carenza di organico.

Un deficit strategico che non coinvolge solo il settore dell’istruzione, ma rappresenta una ferita aperta che riguarda tutti i settori del carcere. Dopo dieci anni di attesa la casa circondariale di Trieste ha, da un semestre, un Direttore; gravissima è la carenza nell’area giuridico pedagogica, ove a fronte di 200 detenuti vi è un funzionario giuridico pedagogico su tre e manca un addetto alla segreteria tecnica. Si lamenta in carcere anche la carenza di sovrintendenti e ispettori.

“Ci sono persone che hanno un percorso di vita complesso, ed è necessario prevenire la difficoltà nell’essere reinseriti nella società. Questo lavoro viene fatto con una carenza importante di organico, che riguarda sia la parte dell’istruzione in carcere, sia delle CPIA (formazione adulti)” prosegue la deputata. Il carcere è ancora una volta una “Scatola chiusa che si preferisce tener tale”, questo è il dramma. La deputata ha ribadito il suo impegno per portare avanti un intervento “che farò personalmente, sia sul Ministero della giustizia sia sul Ministero dell’istruzione, per aumentare gli organici che sono nella disponibilità delle strutture”. Nella cassetta degli attrezzi della vita dei detenuti l’istruzione e la formazione sono fondamentali: nella sezione femminile del carcere di Via Coroneo, dove sono presenti 25 detenute, non è stato ancora possibile organizzare corsi di alfabetizzazione, rendendo estremamente complesso un percorso di reinserimento una volta scontata la pena, a causa di una mancanza di organico.

“È necessario fare dei bandi di concorso che garantiscano un numero adeguato di assunzioni e le risorse devono essere proporzionate alla popolazione detenuta” dichiara Elisabetta Burla, Garante dei diritti dei detenuti del Comune di Trieste, aggiungendo come “un’altra soluzione sarebbe un maggiore accesso alle misure alternative, ma, in questo caso, andrebbero in primis rafforzati i servizi sociali territoriali e il personale degli uffici dell’esecuzione penale esterna”.