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di Rosanna Scardi

Corriere della Sera, 25 novembre 2023

Dalla fiction campione di ascolti “Lea - I nostri figli” di Raiuno a un reading teatrale. Giorgio Pasotti è atteso, sabato prossimo, nella chiesa di San Vittore Martire per interpretare “Aspettando domani”, testo scritto da Carlotta Balestrieri per celebrare un’occasione speciale: la Banca di Credito cooperativo dell’Oglio e del Serio festeggia i 120 anni della fondazione della Cassa rurale di prestiti di Calcio. La curatela dell’evento è affidata a deSidera. Insieme a Pasotti, in chiesa a Calcio, ci sarà la violoncellista Daniela Savoldi.

Pasotti, “Aspettando domani” è il monologo di Alessandro Baruffi. Ci può raccontare chi era?

“Uno dei dodici coraggiosi che, il 16 luglio del 1903, investì due lire di quota sociale e mise come garanzia il proprio patrimonio per fondare la Cassa rurale di prestiti di Calcio. Attraverso le sue parole, pronunciate alla vigilia della costituzione, si scoprono sia il contesto storico sia la dimensione umana. Baruffi era un falegname, padre di otto figli, che compì un passo molto più lungo della gamba, buttandosi nel vuoto senza avere un paracadute. Ma il suo atto di coraggio cambiò le sorti di migliaia di persone. E resta un esempio virtuoso di chi ha creduto in un sogno. Oggi si cerca un lavoro in base a quello che ti può dare, lui aveva fatto della sua passione un mestiere”.

A proposito di lavori scelti per vocazione, in “Lea”, interpreta un pediatra ex marito dell’infermiera impersonata da Anna Valle. È vero che aspirava a diventare medico?

“Era il mio progetto di vita iniziale, volevo fare il medico sportivo; il cambio di strada è avvenuto mentre lo stavo realizzando. Sono stato rapito dal mestiere di attore. E anche se mi trovo a mio agio con il camice per fiction, credo che non sarei stato un bravo dottore, ho paura del sangue, non mi piacciono la parte chirurgica e le malattie”.

Venendo al caso tragico di Giulia Cecchettin, la 22enne uccisa dall’ex fidanzato Filippo Turetta, da papà di una figlia femmina (Maria, 13 anni), qual è la sua opinione?

“Ci sono troppi cattivi esempi. Mia figlia come le sue amiche ascolta questi trapper che descrivono le ragazze come oggetti, ostentano supercar, gioielli, soldi, cattivo gusto. Sono modelli sbagliati e vengono idolatrati dai più giovani che non hanno capacità di discernere tra giusto e sbagliato”.

Sui social ha pubblicato la scritta “Noi maschi dobbiamo imparare a soffrire per amore, imparare a perdere, a guardare andar via per splendere altrove”...

“Ritengo che non si debba parlare del singolo caso. Oggi la vittima è Giulia, domani toccherà a un’altra donna. I femminicidi sono fatti talmente gravi che non possiamo nasconderci dietro a un dito: è un fallimento collettivo, non solo dell’autore del delitto o della famiglia, ma della società. Faccio un esempio: fino ai 19 anni ho vissuto a Bergamo, dove si è formata la mia cultura civile. Se buttavo la carta della pizza per terra, usciva il bottegaio e mi faceva capire che dovevo usare il cestino. Oggi i genitori sono iperprotettivi verso i figli ed è deleterio. Mio papà mi ha sempre detto: se farai qualcosa di grave sarò il primo a portarti dalle autorità e a denunciarti”.

Ha avuto amiche che hanno subìto abusi o violenze?

“No, per fortuna. Ma mi ha colpito un episodio di violenza a Firenze, dove mi trovo: un novantenne aggredito e derubato nell’indifferenza dei passanti”.