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di Giuseppe Salvaggiulo

La Stampa, 26 febbraio 2023

Sebastiano Ardita, pm antimafia per anni al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria: “Dovremmo smetterla con questo dibattito da strada sul 41 bis, rimettendo le cose in ordine, distinguendo compiti e responsabilità tra politica e magistratura, e ragionando sulle conseguenze sistemiche delle scelte su singole vicende come il caso Cospito”.

Sorpreso della decisione della Cassazione?

“No. E mi stupisco degli addetti ai lavori che lo sono”.

Perché?

“La Cassazione era chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del provvedimento su Cospito. E il provvedimento è legittimo, perché è scritto bene e rispetta i due parametri sul 41 bis: tipologia di reato (mafia o terrorismo) e grado di pericolosità delle comunicazioni esterne”.

Dunque la questione non è di legittimità?

“A mio parere no, ed è stato un errore enfatizzare questa dimensione del problema, caricando il giudizio della Cassazione di un’aspettativa salvifica e risolutiva”.

Qual è dunque la dimensione centrale del problema?

“La questione di opportunità, ovvero la valutazione discrezionale sull’utilizzo dello strumento del 41 bis nel caso concreto. Una valutazione che non può essere né scaricata, né rivendicata dalla magistratura”.

A chi appartiene?

“Al ministro. Non a caso la legge attribuisce a lui, e solo a lui, il potere di disporre il 41 bis. La magistratura non ha questo potere. Può solo sindacarne l’eventuale illegittimità, non l’inopportunità su cui entrano in gioco valutazioni di politica criminale più ampie, se non strategiche”.

Lei come si sarebbe comportato?

“Guardi, voglio essere sincero. Dipende dal ruolo”.

Che intende dire?

“Se fossi stato il pubblico ministero del processo in cui Cospito è imputato per strage, avrei espresso parere favorevole alla misura. Se fossi stato al Dap, avrei ragionato diversamente”.

Perché in modo diverso?

“Perché il pm ragiona nell’ambito di un perimetro giudiziario, con un obiettivo immediato e non deve occuparsi di questioni di politica criminale”.

Invece il ministero?

“Deve porsi anche altre domande: come incide il caso concreto sul sistema penitenziario in generale? Che tipo di conseguenze comporta l’applicazione del 41 bis a una particolare tipologia di detenuto come Cospito? Siamo in grado, e come, di gestire l’onda di reazioni che suscita?”.

Nordio sarebbe potuto giungere a conclusioni diverse dalla linea dura?

“Non credo. Il suo predecessore ha ritenuto di applicare il 41 bis a Cospito. Come avrebbe potuto non confermarlo, senza passare come un ministro lassista nei confronti della violenza politica organizzata, tanto più in questo contesto politico?”.

Come giudica le polemiche politiche di queste ore?

“Sterili. Su un tema così delicato, lo Stato non può essere in balia della pubblica opinione: un giorno buonisti, un giorno inflessibili. In un Paese serio si stabilisce una linea e la si difende”.

E ora? Se la salute di Cospito peggiorasse ulteriormente?

“In questa materia è difficile riannodare i fili dopo averli srotolati. Bisognava pensarci prima”.

Quando?

“Secondo lei, se non fosse stato dato il 41 bis a Cospito se ne sarebbe accorto qualcuno?”.

È un argomento decisivo?

“È una valutazione costi-benefici da fare sempre. Tanto più nei confronti di un anarchico. Conviene sovraesporre uno strumento così strategico nella lotta alle mafie per un detenuto di questo tipo?”.

Il regime di alta sicurezza non è una soluzione praticabile?

“Lo sarebbe, se non fosse stato svuotato di senso. Con le celle aperte e la riduzione dei controlli, di fatto è bassa sicurezza. Per cui i pm chiedono 41 bis anche a chi non ne avrebbe bisogno”.

Il 41 bis rischia di saltare?

“Sta già saltando, e non da oggi. Questo caso mostra una crisi che viene da lontano”.

Che tipo di crisi?

“La spia è il numero di detenuti al 41 bis. Oltre 700: troppi. Il numero fisiologico sarebbe intorno a 500”.

Perché?

“Si ricorre al 41 bis con troppa leggerezza, esponendolo a rischi di tenuta. Come si è fatto estendendo ai reati di pubblica amministrazione il regime che condiziona i benefici penitenziari a chi recide i legami criminali. Ma trattare un boss mafioso come un vigile urbano condannato per peculato ha creato contraddizioni normative e alla fine indebolito lo strumento”.

Il 41 bis va ripensato?

“No, va usato bene. Nel 2002 il sistema stava saltando: in un anno furono annullati dai tribunali di sorveglianza ben 72 decreti ministeriali. Si lavorò sia a livello organizzativo che normativo per metterlo in sicurezza, riuscendo nell’intento con la riforma del 2009. Quelle regole sono ancora valide. È il cattivo uso che lo corrompe”.

Si rischia un cedimento?

“Questo dipende, ancora una volta, dalla politica. Da quanto ci crede, dall’uso che vuole farne. E dalla consapevolezza che ogni singola scelta ha un effetto di sistema”.