di Francesco Perone*
L’Unità, 26 ottobre 2024
Il legislatore invece aggrava anche quelle per spaccio di lieve entità. Quasi verrebbe da dire: e fu così, che al tempo del populismo penale e dell’ipertrofia sanzionatoria che ne è diretta discendente, la Corte Costituzionale batté un colpo che in pochi udirono tanto erano impegnati nell’inventarsi nuovi delitti e nuove pene. Lo scorso mese di luglio, il Giudice delle leggi con la sentenza n. 138/2024, pur dichiarando l’inammissibilità “tecnica” della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla bravissima G.U.P. del Tribunale di Brescia, Angela Corvi, ne ha di fatto condiviso le articolate argomentazioni afferenti il contrasto del trattamento sanzionatorio del reato di associazione finalizzata al narcotraffico con gli artt. 3 e 27 della Costituzione, per essere stati violati i principi di proporzionalità e ragionevolezza della pena, nonché la necessaria finalità rieducativa della stessa. Per intenderci, attualmente i commi 1 e 2 dell’art. 74 D.P.R. 309/90 prevedono una pena non inferiore a 20 anni di reclusione per i promotori e gli organizzatori dell’associazione e non inferiore a 10 anni per i semplici partecipi. L’omicidio, per fare un paragone, è punito con la reclusione non inferiore agli anni 21.
Tralasciando le ragioni più strettamente tecniche poste a sostegno della decisione, la Corte Costituzionale ha osservato come il vulnus segnalato dal Giudice remittente sia addirittura più grave di quello che nel 2019 diede luogo alla dichiarazione di illegittimità costituzionale della pena prevista dall’art. 73 del testo unico sugli stupefacenti (sentenza n. 40), rilevando, tuttavia, l’impossibilità di porvi rimedio (e da qui l’inammissibilità della questione) poiché, a differenza di quanto accaduto per l’art. 73, il quadro normativo di riferimento non consente alla Corte l’individuazione di pene differenti, compatibili con i principi costituzionali violati. In pratica la Corte, pur affermando a chiare lettere l’illegittimità costituzionale delle pene previste dai commi 1 e 2 dell’art. 74 D.P.R. 309/90, ribadisce l’impossibilità di sostituirsi al legislatore, al quale però rivolge un auspicio: un sollecito intervento che valga a rimuovere “l’anomalia san zionatoria” riscontrata. Altro che colpo, è una bomba!
Al netto di quel che sarà il contenuto dell’intervento legislativo auspicato, che non potrà non prevedere una sensibile riduzione delle pene rispetto a quelle attualmente in vigore, non può non rilevarsi come “l’anomalia sanzionatoria” riscontrata dalla Corte Costituzionale fu introdotta nel lontano 1990 con la legge n. 162 e successivamente trasfusa nell’attuale articolo 74 del testo unico sugli stupefacenti. Ciò significa che da un quarto di secolo il trattamento sanzionatorio del reato di associazione finalizzata al narcotraffico è contrario ai principi costituzionali posti a garanzia della persona e che ben due generazioni di condannati hanno espiato o stanno espiando una pena almeno in parte illegittima, la qual cosa, per chi ancora crede nello Stato di diritto, è francamente intollerabile.
Non solo. Nei processi in corso i Giudici dovranno continuare ad applicare pene costituzionalmente illegittime, poiché, a differenza di chi è chiamato a eseguire un ordine illegittimo, che va necessariamente disatteso, i magistrati, soggetti soltanto alla legge, se hanno un dubbio devono limitarsi a sollevare questione di legittimità costituzionale, come ha per l’appunto fatto il Giudice di Brescia, la quale però e paradossalmente, pur avendo colto nel segno, nel processo in cui la questione è stata sollevata dovrà continuare ad applicare le pene oggetto di censura. Per fortuna non la pena di morte. Fino a quando? Fino a quando, come auspicato dalla Corte, il vulnus non sarà sanato da un Legislatore che forse non si è neanche accorto dell’importante pronuncia ma che, in compenso, ha trovato il tempo di aggravare le pene previste per le ipotesi di spaccio di lieve entità.
*Camera Penale Irpina