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di Giorgia Linardi

La Stampa, 7 luglio 2023

Buttati nel deserto. Questa la sorte dei migranti subsahariani cacciati da Sfax, dove gli episodi di intolleranza xenofoba non sono una novità ma mai avevano raggiunto i livelli di questi giorni. La notte la città si trasforma in una caccia alla pelle nera. Intere famiglie sono state buttate fuori dalle proprie case, bastonate, insultate e deportate nel deserto al confine con la Libia. Le “notizie dal fronte” riportano una donna incinta deceduta, mentre già si sapeva che avesse un’emorragia. Abbandonata nel deserto senza cibo né acqua, nel Sahara a luglio. Neonati buttati a terra in mezzo a uomini feriti. Nessun aiuto umanitario. Le organizzazioni internazionali guardano da Lac, il quartiere di Tunisi in mano agli Emirati dove hanno sede le rappresentanze internazionali. Nella striscia di sabbia tra Tunisia e Libia nessuno ha accesso: è zona militare.

Ricordo che un anno fa, arrivata alla città di confine Ben Guerdane, non mi fecero andare oltre il check-point. Cosa accade più in là, nella zona a più alta densità di traffico di qualsiasi bene con la Libia, non ci deve riguardare. Eppure, proprio in quella fascia di terra, la polizia tunisina e i cittadini locali si sono uniti contro un nemico comune. Si vedono gli agenti della Garde Nationale armati accanto a civili che scagliano pietre contro i migranti.

Khaled è tra i respinti al confine che in pochi giorni sono diventati da circa 400, secondo Human Rights Watch. Ha la testa aperta da una mazzata. L’ho già vista una testa così, in un centro di detenzione a Tripoli, dove in una cella le guardie avevano massacrato le persone che chiedevano di poter respirare. In cambio gli hanno aperto i lembi a colpi di AK47, calci e tubi in ferro. La testa apparteneva a un bambino di 12 o 13 anni. Piangeva da due giorni per il dolore. Gli avevano messo del dentifricio o qualcosa di simile, sperando facesse l’effetto di un medicamento. Non so che fine abbia fatto. Sparito, come la gran parte dei migranti irregolari in Libia.

Libia-Tunisia-Europa: c’è un filo diretto che ci dice due cose. La prima è che l’Ue può mettere tutte le toppe che crede vantando gli accordi di cooperazione (vacui) con i Paesi nordafricani, ma le persone continuano a fuggire. La seconda è che quanto sta accadendo in Tunisia non può non essere visto in relazione alle politiche di contenimento europee. L’Ue è disposta a tutto pur di fermare la migrazione dal continente africano. Rendendosi ricattabile, ha offerto a Saied la possibilità di usare i migranti come carta da gioco nei negoziati con Bruxelles per ottenere i fondi di cui ha disperato bisogno per evitare l’imminente collasso socio-economico. Intanto - come si suole fare anche dalla nostra parte del Mediterraneo - per distrarre i cittadini dalle responsabilità politiche della situazione drammatica in cui versa il Paese, ha incitato all’odio razziale additando i migranti come causa del malessere generale. Così facendo, ha contestualmente alimentato la fuga verso l’Europa, foraggiando il business dei trafficanti che ha già causato centinaia di morti partiti da Sfax.

Ma mentre ci arrivano immagini di donne nere che svuotano le loro case nel timore di essere aggredite nella notte e deportate nel deserto, Johansson in visita a Lampedusa ha elogiato la cooperazione con la Tunisia. Per l’Ue, infatti, la Tunisia deve qualificarsi come un Paese sicuro dove investire sui rimpatri - e in fretta. Svuotare l’Europa, alzare la fortezza: questo l’obiettivo urgente. Nessun commento su quanto sta accadendo: la verità sulla Tunisia ridurrebbe il disegno europeo a carta straccia.

Ma le immagini e le testimonianze che ci arrivano da Sud parlano chiaro, mentre i contatti con le vittime si interrompono non appena i loro telefoni vengono sequestrati. D’altra parte, la censura delle violenze contro la popolazione subsahariana non è nuova, come mi ha raccontato a Tunisi un ragazzo sudanese che ha perso casa, lavoro e rispetto dopo il discorso xenofobo di Saied a febbraio. La polizia durante una retata avrebbe torturato alcuni ragazzi subsahariani sottoponendoli a elettroshock proprio nel commissariato del ricco quartiere di Lac. L’obiettivo delle sevizie: sapere chi pubblica le immagini dei violenti sgomberi della polizia contro le persone migranti. Intanto oltre 1.220 persone sono arrivate a Lampedusa in circa 24 ore. Una donna ha partorito durante la traversata. Ha preferito questo rischio a quello di morire dissanguata nel deserto. Un’incosciente, diremmo noi da qui.