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di Matteo Garavoglia

Il Manifesto 4 ottobre 2023

Reportage dalla città tunisina di Sfax dove i migranti sopravvivono nel degrado e la povertà. E il presidente Saied rifiuta i soldi Ue per motivi di “sovranità”. Da qualche settimana in Tunisia sono due i discorsi che vanno per la maggiore. Uno si focalizza sull’interesse nazionale del paese, sulle sue esigenze e sulla necessità di mantenere un controllo stretto dell’immigrazione irregolare che ha spinto il piccolo Stato nordafricano a essere il punto principale delle partenze verso Lampedusa.

È una logica che riguarda il palazzo di Cartagine e soprattutto il suo responsabile, il presidente della Repubblica Kais Saied, impegnato in questi giorni a rifiutare un sostanzioso aiuto economico - promesso nel settembre scorso direttamente dalla Commissione europea - in nome della “sovranità nazionale”.

Il secondo discorso riguarda le comunità che più di tutte stanno subendo gli effetti di quel controllo, quella subsahariana e quella sudanese. È una retorica dura che va avanti da mesi, almeno dallo scorso febbraio quando Kais Saied le ha accusate di stare compiendo una sostituzione etnica nel paese, con risvolti molto pratici come aggressioni subite a livello quotidiano dalle forze di sicurezza, condizioni di vita estremamente precarie e deportazioni lungo i confini con Libia e Algeria.

“Tre settimane fa la polizia mi ha arrestato per strada, hanno caricato 140 persone su un bus che aveva appena 60 posti e ci hanno lasciato lungo il confine con l’Algeria. Per tornare a Sfax ci ho messo due settimane, eravamo senza acque e cibo. Ho ancora le ferite ai piedi per quanto ho camminato. Non ho trovato nessuno che mi riportasse qui”, racconta Ibrahim, 26enne originario della Costa d’Avorio.

Tebessa, città algerina al confine con la Tunisia, e Sfax distano più di 270 chilometri. Lungo la strada si incrociano montagne, il deserto e città come Kasserine e Sidi Bouzid, salite agli onori della cronaca nel 2011 per avere dato vita alla Rivoluzione della dignità e libertà. È tuttavia proprio a Sfax che si concentra tutto il dolore di questi mesi. Ibrahim racconta la sua storia da un piccolo appartamento di 50 metri quadrati. Qui, in un edificio fatiscente a qualche chilometro dal centro della città, centinaia di persone hanno trovato un rifugio temporaneo e un tetto pericolante sotto cui contare i giorni prima di provare a lasciare la Tunisia per sempre. Ibrahim “vive” insieme ad altre 60 persone in uno spazio ristrettissimo.

C’è chi è impegnato a svuotare una doccia piena di acqua nera dopo che una tubatura si è rotta; chi si ritrova a condividere tre divani insieme ad altre 30 persone; chi, come una quindicina di ragazze insieme ai loro bambini di pochi mesi o anni, ad aspettare in una stanza separata dagli uomini che diventi buio per cercare di dormire qualche ora. “Molti sono arrivati qui dopo che a settembre hanno sgomberato la piazza in centro a Sfax. Tanti altri hanno vissuto le deportazioni di luglio nel deserto - racconta Jordan, arrivato in Tunisia da due anni dopo avere attraversato tutto il Nord Africa dalla Guinea - La situazione sta diventando ingestibile. Subiamo violenze quotidiane sia da parte dei tunisini che della polizia. Paghiamo 400 euro al mese per vivere schiacciati in mezzo alla sporcizia e da quando a Lampedusa sono arrivate 7mila persone non ci lasciano più partire. Prima le cose andavano meglio, riuscivamo anche a lavorare. Adesso l’Europa è diventata la nostra unica soluzione”.

Mentre in Italia ritornano le istantanee del naufragio del 3 ottobre 2013 quando in mare persero la vita 368 persone, la vita a Sfax è arrivata a un punto di non ritorno. Oggi per chiunque sia originario dell’Africa subsahariana o del Sudan le soluzioni sono due. O cercare un riparo in abitazioni di fortuna e rinunciare a qualsiasi prospettiva. O camminare verso la campagna fuori dal centro abitato, aspettare qualche giorno all’aria aperta e partire verso l’Italia. “Nei prossimi giorni il meteo è buono. Ci proverò ancora ma non ho tanta fiducia”, conclude rassegnato Jordan. Nel frattempo il presidente della Repubblica Kais Saied, dopo aver assicurato una stretta alle partenze riprendendo anche le deportazioni di massa verso l’Algeria e la Libia cominciate nel luglio scorso, ha deciso di rinunciare al supporto economico di 127 milioni di euro proposto dalla Commissione europea in attesa della piena implementazione del Memorandum d’intesa firmato nel luglio scorso.

“Il denaro del mondo intero non vale un solo briciolo della sovranità del nostro popolo. La Tunisia rifiuta quanto annunciato nei giorni scorsi dall’Unione europea, non per la sua esiguità, ma perché questa proposta contraddice l’accordo che abbiamo firmato”, ha affermato Saied, evidentemente contrariato dalle soluzioni proposte dalla sponda nord del Mediterraneo.

Osservando da più vicino il contesto tunisino, si può intuire come i due discorsi presenti nel paese siano in realtà uno solo. Dipende solamente dalla prospettiva con cui lo si guarda.