di Francesca Mannocchi
La Stampa, 10 marzo 2023
La svolta autoritaria e razzista del presidente Saied ha reso la permanenza impossibile agli africani. La crisi economica fa fuggire i giovani locali: si spegne l’unica democrazia uscita dalla Primavera araba. Il 21 febbraio, in un discorso ai consiglieri per la sicurezza nazionale, il Presidente tunisino Kais Saied ha accusato “orde di migranti irregolari” provenienti dall’Africa sub-sahariana di violenza e criminalità, “orde - ha detto - parte di una impresa criminale volta a cambiare la composizione demografica del Paese”. Un discorso che unisce razzismo a teorie cospiratorie diffuse ormai in gran parte della Tunisia attraverso il Parti Nationaliste Tunisien (Pnt) alla testa di una campagna che sta inondando i social media con attacchi ai migranti.
Dopo le parole di Saied, i cittadini dell’Africa sub-sahariana hanno denunciato un’ondata di violenza contro di loro e si sono precipitati a centinaia di fronte alle ambasciate e alle sedi dell’Oim (Organizzazione Internazionale per le migrazioni) chiedendo di essere rimpatriati.
Si sono moltiplicate le denunce di persone assaltate fisicamente, cui sono stati rubati o vandalizzati beni e proprietà o che si ritrovano improvvisamente senza casa e senza lavoro, cacciati perché il mese scorso la Guardia nazionale ha minacciato di arrestare tutti coloro che danno occupazione o forniscono alloggio a immigrati non autorizzati, irregolari. I numeri raccontano una realtà scollata dalla violenza delle parole di Saied. Secondo i dati ufficiali, la Tunisia conta circa 21mila cittadini di paesi dell’Africa sub-sahariana, cioè meno dello 0,2% di una popolazione totale di circa 12 milioni di abitanti.
L’ostilità verso i migranti è solo l’ultima tappa della regressione autocratica in corso dal colpo di stato di fatto del luglio 2021, da quando cioè Kais Saied sta imponendo una svolta repressiva, conservatrice e xenofoba che ha reso il Paese - fino a pochi anni fa esempio virtuoso di transizione democratica dopo le primavere del 2011 - ormai irriconoscibile.
Kais Saied ha in mano tutti i poteri dal 25 luglio 2021, da quando cioè ha destituito l’allora Primo Ministro e congelato il Parlamento, prima di scioglierlo. Ha abrogato la Costituzione del 2014, indetto un referendum costituzionale ed elezioni legislative. La nuova Costituzione, approvata il 26 luglio, concede poteri quasi illimitati al presidente senza tutele per i diritti umani.
Alle ultime elezioni, i tunisini hanno disertato le urne, ha votato solo un tunisino su dieci, mentre i partiti di opposizione e le organizzazioni che invitavano a boicottare il voto definivano le elezioni “illegittime”. Dall’11 febbraio, è partita un’ondata arresti che ha preso di mira esponenti dell’opposizione, due magistrati e il fondatore di una radio privata che avevano criticato la svolta autoritaria del Paese. Ieri l’ultima decisione: lo scioglimento dei consigli comunali, anch’essi eredità della rivoluzione dei gelsomini. I consigli saranno sostituiti da “delegazioni speciali”, naturalmente senza necessità del voto. Cioè senza espressione di diritti democratici.
Economia in ginocchio - Dopo l’ondata di violenza contro le persone migranti, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale hanno sospeso i prestiti, in assenza dei quali la fragile economia tunisina rischia di non riprendersi. Lo scorso ottobre l’Fmi aveva raggiunto un accordo con la Tunisia per un prestito di quasi due miliardi di dollari, ma la deriva sempre più autoritaria della presidenza Saied ne aveva progressivamente rallentato l’approvazione finale. Oggi gli accordi sono sospesi “fino a nuovo avviso”, decisione che implica un congelamento di tutti i nuovi finanziamenti alla Tunisia, impantanata in una grave crisi finanziaria.
Dopo il discorso del 21 febbraio, infatti, il presidente della Banca mondiale - entità distinta ma che lavora in stretta collaborazione con il Fondo Monetario Internazionale - David Malpass ha rinviato a data da destinarsi l’incontro programmato con le istituzioni tunisine previsto per fine marzo e comunicato l’interruzione dei lavori congiunti a causa delle “molestie di matrice razzista e le violenze” innescate dalle parole di Saied.
Il prestito del Fondo Monetario era fondamentale per non precipitare, soprattutto dopo l’effetto domino generato dell’invasione russa in Ucraina. Dallo scorso autunno, per settimane, nei supermercati tunisini c’erano le liste di razionamento dei beni di prima necessità, mancano pasta e riso, manca il semolino, scarseggiano latte, olio e zucchero. Il rialzo dei prezzi globali delle materie prime ha aumentato i costi di distribuzione e importazione e le istituzioni non hanno saputo far fronte alla crisi al punto che in alcune aree del paese gli scaffali dei supermercati sono rimasti vuoti per giorni.
La Tunisia è indebitata per l’80% del suo Pil, sconta il peso della spesa pubblica e si indebita per colmare il deficit di bilancio, le agenzie di rating stimano che il paese abbia più di 2 miliardi di dollari di debiti esteri in scadenza nel quarto trimestre di quest’anno e nel primo trimestre del 2024. Con il mancato accordo per i due miliardi di dollari, rischiano di slittare anche i nuovi prestiti dall’Unione Europea, oltre ai finanziamenti per le infrastrutture, come lo lo stanziamento di venti milioni di euro per un progetto di cavi per fornire energia solare all’Europa, rinviato fino a nuovo ordine.
Con poca crescita, l’inflazione al 10% e il tasso di disoccupazione al 15% che tocca punte del 40% nelle zone più povere, il Paese rischia di non farcela. La tenuta delle casse statali era talmente allarmante che a gennaio Marouane Abassi, il governatore della Banca centrale tunisina, aveva avvertito che senza prestiti il 2023 sarebbe stato “un anno davvero complicato” e sempre a gennaio Moody’s aveva declassato il rating del paese ipotizzando un possibile default, evitato lo scorso anno solo grazie a un prestito di 700 milioni di dollari dalla African Export-Import Bank. Dopo l’ondata di violenze, il portavoce del Dipartimento di Stato americano Ned Price che, preoccupato per la situazione, ha esortato le autorità tunisine a rispettare gli obblighi del diritto internazionale nel “proteggere i diritti dei rifugiati, dei richiedenti asilo e dei migranti”. Ancora più critica l’Unione Africana che, in un duro comunicato ha condannato “la scioccante dichiarazione che va contro lo spirito e i principi fondanti dell’organizzazione”. Il presidente dell’Unione, Moussa Faki, ha condannato Saied per “incitamento all’odio razziale” e rinviato una conferenza continentale prevista a Tunisi a marzo.
Gli amici italiani - Se l’Unione Africana dissente, critica e prende le distanze dal Presidente Saied, i partner europei ribadiscono il sostegno alle istituzioni tunisine. Il 27 febbraio, a meno di una settimana dalle parole di Saied contro i migranti, il Ministro degli Esteri Antonio Tajani in un colloquio con l’omologo tunisino Nabil Ammar conferma la cooperazione bilaterale. I due Paesi, dice, devono “affrontare al meglio le sfide nel Mediterraneo”. L’Italia non si tira indietro, anzi. “Il governo italiano è in prima linea nel sostenere la Tunisia nelle attività di controllo delle frontiere, nella lotta al traffico di esseri umani, nonché nella creazione di percorsi legali verso l’Italia per i lavoratori tunisini”.
Che il governo sia in prima linea per il controllo delle frontiere non c’è dubbio. Per le intenzioni italiane continuano a parlare i numeri, come riporta un’inchiesta condotta da Altraeconomia la nuova commessa deliberata dal governo in favore di Tunisi coincide con le parole violente di Saied. Negli stessi giorni venivano concessi al paese nordafricano cento pick-up per un valore di oltre 3 milioni e mezzo di euro per rinforzare il ministero dell’Interno tunisino nel contrasto all’immigrazione “irregolare”. È solo l’ultimo tassello di un aiuto complessivo che negli ultimi anni - tra il 2020 e il 2021 - è stimato secondo i calcoli di IrpiMedia e AcrionAid in 19 milioni di euro tutti concentrati sul controllo delle frontiere, che si aggiungono ai 25 milioni di euro europei del Patto sulla migrazione e l’asilo. Europa che a novembre scorso ha ribadito l’impegno economico per l’esternalizzazione dei confini.
Il 28 febbraio a chiamare Tunisi è la premier Giorgia Meloni che, in un colloquio con la premier Najla Romdhane rinnova “la vicinanza al popolo e alle autorità tunisine in questo momento particolarmente delicato per il Paese” e conferma “l’appoggio italiano presso le istituzioni finanziarie internazionali”. Tradotto significa che l’Italia proverà a farsi carico di perorare la causa tunisina, di appoggiare la richiesta di prestiti, oltre - naturalmente - a confermare il sostegno economico per il pattugliamento delle coste.
Il paradosso migratorio - È di fronte alla portata della crisi economica e finanziaria, all’inadeguatezza delle risposte, e all’ondata di proteste che infiamma le piazze del Paese, che Kais Saied ha preso di mira le persone migranti, tentando di scaricare la responsabilità della crisi economica sui i cittadini ritenuti irregolari. È il modo più semplice per distogliere l’attenzione della gente dai problemi interni, dalle tensioni sociali, dall’incapacità di dare risposte e alternative, di generare lavoro. Di distogliere l’attenzione dal numero mai raggiunto prima di giovani che decidono di lasciare il Paese. Secondo il Forum Tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes) lo scorso anno sono arrivati in Italia circa 20mila tunisini, tra loro 4mila minori, il numero pùù alto degli ultimi anni. È il paradosso di uno Stato sempre più autoritario e insieme stato di frontiera a cui l’Europa sta delegando - a pagamento - il controllo dei confini. Il paradosso del Mediterraneo centrale è tutto qui. Nelle azioni e nelle politiche di Paesi come l’Italia che esternalizzano il monitoraggio delle rotte migratorie e militarizzano i confini esterni, garantendo ai paesi di partenza un flusso ininterrotto e crescente di mezzi e di fondi. Ma il costo delle politiche securitarie europee è sempre più alto e fa sì che oggi, si chiudano gli occhi di fronte agli arresti sommari, al deterioramento delle istituzioni democratiche, a un parlamento svuotato, al mancato rispetto dei diritti umani e oggi da ultimo all’ondata di violenza contro la comunità migrante, nell’illusione che un regime autoritario continui a garantire l’ordine e i respingimenti. Sono 30 mila le persone migranti respinte nel 2022 nel tentativo di raggiungere l’Italia dalle coste tunisine. Quasi ventimila i giovani tunisini che invece ce l’hanno fatta. Sempre di più, sempre più giovani, sempre più in fuga da quel regime che subiscono e contro cui si ribellano, e verso cui l’Europa continua a chiudere gli occhi e aprire il portafoglio.