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di Massimo Nava

Corriere della Sera, 5 luglio 2023

Le minoranze sono discriminate, alzano la voce e reclamano diritti perché sono costituite da cittadini francesi, giovani di origine straniera, ma nati e cresciuti in quel Paese. C’è un concetto tabù in Francia che spiega la questione delle periferie più del fiume di analisi politiche e sociologiche che puntualmente scorre dopo ricorrenti esplosioni di violenza e ribellione. Il concetto è “minoranza” in senso etnico, religioso, culturale, linguistico. Concetto che nella concezione dello Stato e nella tradizione politica e culturale è escluso dal vocabolario. I princìpi fondanti della Republique - l’eguaglianza, la laicità delle istituzioni pubbliche - concorrono ad esaltare un modello di assimilazione che, pur rispettando le differenze in nome della libertà, non le accetta come espressioni pubbliche. Ne è un esempio la legge sulla laicità dello Stato che rispetta le libertà religiose come fatto privato, ma proibisce l’ostentazione di simboli religiosi nei luoghi pubblici, come il crocefisso nelle scuole o il velo islamico indossato a scuola o all’università.

In sintesi, l’approccio francese, che è il prodotto di una visione illuministica e cartesiana della realtà, rileva una buona dose di ipocrisia, dal momento che proprio la realtà è una quotidiana smentita del modello. Le minoranze esistono, sono discriminate, alzano la voce e reclamano diritti con un’arma politica efficace e convincente che altre minoranze nel mondo non hanno: le minoranze in Francia sono minoranze francesi, essendo costituite da cittadini francesi, giovani di origine straniera, ma nati e cresciuti in Francia.

Tutto il contrario della concezione anglosassone che tende ad accettare le minoranze anche in senso identitario e a monitorare con leggi e provvedimenti ad hoc il loro trattamento, per arginare e stroncare qualsiasi forma di discriminazione. Naturalmente, anche il modello multietnico e multiculturale mostra i suoi limiti e non è immune da derive razziste e discriminatorie - basti ricordare la questione generale dei ghetti americani e i ricorrenti episodi di violenza da parte della polizia contro cittadini neri - ma l’approccio pragmatico della cultura anglosassone ha dato risultati migliori ed esempi simbolici di grande effetto culturale, quali ad esempio un presidente di colore o un premier di origine indiana.

The Obsever nota che la scritta “Liberté, Égalité, Fraternité” (Libertà, Uguaglianza, Fraternità) impresso sul frontone degli edifici pubblici sembra essere “un’illusione e persino una menzogna” agli occhi di molti abitanti delle periferie. Ma essendo la Francia una repubblica fondata sull’uguaglianza, le differenze etniche non hanno posto e non dovrebbero essere ufficialmente riconosciute. “Eppure permetterebbero di affrontare le discriminazioni nelle scuole e nelle aziende. È difficile risolvere un problema quando non si sa esattamente quanto sia grande o diffuso. Dal punto di vista delle periferie, questo “rifiuto di vedere il colore della pelle” non è altro che una politica dello struzzo; un desiderio di rendere invisibili le minoranze visibili”.

La tradizione statalista e l’eredità culturale di Voltaire e della Rivoluzione hanno fatto percepire la legge sulla laicità dello Stato come un attacco alle libertà religiose, anche qui in contrasto con il modello anglosassone. D’altra parte, si è perso di vista l’obiettivo primario della legge, ossia difendere le donne e in generale la gioventù da sempre più frequenti episodi d’intolleranza, razzismo, pressione culturale, antisemitismo. Come garantire ad esempio i diritti e la libertà educativa di migliaia di ragazze delle periferie metropolitane, dove il condizionamento delle famiglie, dei padri e dei fratelli maggiori, comporta l’imposizione del velo?

La Francia è il Paese con la più forte tradizione laica e agnostica, è il Paese con la più imponente componente musulmana (oltre cinque milioni, il dieci per cento della popolazione) è il Paese con la più importante comunità ebraica d’Europa, oltre seicentomila persone.La pretesa d’ “integrazione” a valori e principi costituzionali ha il suo rovescio nel rifiuto dell’assimilazione, con il drammatico fenomeno di comunità etniche aggrappate alla religione come una difesa o una bandiera.

A dispetto della tanta conclamata integrazione e dei colossali investimenti pubblici nel corso degli anni, la cosiddetta “frattura sociale” in Francia si è ulteriormente aggravata, con il risultato che l’emarginazione economica e sociale di milioni di individui costituisce il detonatore di auto-emarginazioni religiose e culturali. Per la Francia, la diversità etnica e culturale non è la somma di tante identità ma un progetto di cittadinanza, con uguali diritti e doveri. I dati però dimostrano due categorie di cittadini: i francesi e gli altri. La crisi di un Paese si vede quando s’incrinano i valori di riferimento. La sua grandezza quando si ha il coraggio di adattarli, anche se scritti nella propria storia.

L’ex presidente Nicolas Sarkozy, più noto per il pugno di ferro che cercò di adottare nelle periferie, sostenne che fosse necessario rivedere i sacri principi. L’integrazione, secondo Sarkozy, fallisce proprio perché intere comunità rafforzano la loro identità religiosa ed etnica e si separano dai valori repubblicani. Una certa idea della Francia, per l’ex presidente con origini ungheresi, significava “non considerare normale che le nostre élite si assomiglino e che, a parte Zidane e i campioni sportivi, i giovani immigrati non possano identificarsi in magistrati, giornalisti, dirigenti d’impresa, alti funzionari”.

Sarkozy propose la “discriminazione positiva”, appunto all’ anglosassone, nell’intento di favorire l’accesso dei più deboli ai posti di lavoro, ma si attirò un altro genere di critica : quella di voler smantellare il sistema francese che, in nome dell’uguaglianza, prevede che non vengano precisate nazionalità e origini etniche. Di fronte ai giovani delle banlieues, statistiche e curriculum sono “ciechi”. Soltanto loro, come nel proverbio dei ghetti americani, sanno di essere “gli indiani in un mondo di Gary Cooper”.