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di Federico Fubini

Corriere della Sera, 2 luglio 2022

Recep Tayyip Erdogan è riuscito a imporsi sui leader democratici - di cui presto potrebbe aver bisogno per un salvataggio - per togliere il suo veto all’ingresso della Finlandia e della Svezia nella Nato.

Non è onorevole il compromesso che gli Stati Uniti e i governi europei hanno accettato perché la Turchia levasse il suo veto all’ingresso della Finlandia e della Svezia nella Nato. Non lo è, anche se non si sa per ora quali e quanti fra i presunti “terroristi” ricercati dal regime di Ankara - per reati essenzialmente di opinione - verranno estradati. Saranno i tribunali di Helsinki e di Stoccolma a decidere con l’indipendenza che, si spera, dovrebbe caratterizzare due Paesi ai vertici della classifica di Freedom House dei sistemi più democratici e trasparenti al mondo.

In attesa di capire cosa accadrà nei prossimi mesi, è possibile mettere a fuoco ciò che è accaduto negli ultimi giorni: alcuni dei Paesi sul piano economico e tecnologico più forti al mondo si sono piegati al diktat della Turchia, una nazione la cui moneta ha più che dimezzato il proprio valore sul dollaro in pochi mesi. Il dittatore seduto su un’economia debolissima, dall’inflazione al 73%, Recep Tayyip Erdogan, è riuscito a imporsi sui leader democratici di cui presto potrebbe aver bisogno per un salvataggio. Sul piano legale è possibile perché l’Alleanza atlantica decide all’unanimità, dunque l’opposizione di un solo governo bastava a bloccare Svezia e Finlandia. Ma sul piano politico una forzatura del genere sarebbe stata impensabile dalla fine degli anni Ottanta fino all’11 settembre 2001, quando le democrazie occidentali erano all’apice del loro potere globale.

Oggi i rapporti di forza sono irriconoscibili. E non solo perché senza Ankara non sarà mai riaperto il Mar Nero per lasciar passare il grano ucraino. Se Erdogan ha osato un ricatto tanto sfacciato sui Paesi più ricchi al mondo, è perché questi ultimi vengono da una serie di sconfitte che lasciano proprio alla Turchia un potere crescente.

L’Europa e gli Stati Uniti hanno perso in Siria, al punto che l’esercito turco ormai è il solo attore a contenere la presenza russa a fianco del dittatore di Damasco Bashar al-Assad. Hanno perso in Iraq e in Afghanistan, gli occidentali. Hanno perso anche in Libia dopo la caduta di Muhammar Gheddafi, al punto che il Paese produce per l’Italia 2,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno e non dieci miliardi come potrebbe. Anche lì la Turchia è il solo contrappeso alla Russia. Noi occidentali abbiamo perso, perché i governi e le opinioni pubbliche non sopportano più impegni sul terreno in teatri instabili ed è in questo vuoto che si inserisce Erdogan. Del resto lo fa persino sui giacimenti di gas nelle acque territoriali di Cipro. L’audacia del dittatore turco, dentro e fuori la Nato, non è che lo specchio del declino dell’Occidente nel suo potere globale.