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di Ezio Menzione*

Il Dubbio 4 ottobre 2023

Così la Corte di Cassazione turca ha chiuso il processo cosiddetto di Gezi Park che vedeva alla sbarra il noto imprenditore e filantropo Osman Kavala e altri sette personaggi dell’intellighentia liberal di Istanbul: ergastolo per Kavala per avere tentato di sovvertire il governo; 18 anni ad altri quattro coimputati, fra cui un avvocato recentemente eletto al Parlamento, ma che non è stato liberato per poter esercitare i suoi diritti di parlamentare, per avere aiutato Kavala nel suo tentativo eversivo; mentre altri tre coimputati sono stati scagionati dall’accusa di sovversione, derubricandola a quella di violazione delle leggi sulle adunate e gli assembramenti; due di questi tre ultimi sono stati posti in libertà, con restrizioni, in attesa di un nuovo processo.

Mucella Yapici, architetta, già segretaria dell’Ordine degli Architetti e degli Ingegneri, nell’uscire dal carcere, ha commentato: “È stato un vero e proprio processo politico. Non capisco il senso della giustizia in Turchia né perché io sia stata rimessa in libertà e gli altri no”. È stato certamente il più politico dei mille processi politici che si sono celebrati in Turchia in questi anni. Non solo esso tendeva a riscrivere la storia: la sollevazione popolare e giovanile di Gezi Park, nel maggio 2013, iniziata a Istanbul ma in poche settimane estesa alle principali città del paese. La si è voluta leggere come un tentativo di golpe, laddove era semplicemente, ma significativamente una richiesta di diritti e una espressione di libertà.

Processo politico anche riguardo al profilo degli imputati: abbiamo già detto dell’imprenditore Kavala e della nota architetta Yapici. Gli altri sei sono esponenti di primo piano del mondo della accademia universitaria, del cinema e della comunicazione e uno è un avvocato, legale dell’Ordine degli Architetti ma anche delle vittime dell’esplosione di Soma in cui perirono 400 minatori e di altri disastri, nonché difensore dei giornalisti della prestigiosa testata Cumurryet, all’epoca in prima fila nell’opposizione al governo di Erdogan.

Tutti intellettuali impegnati e non allineati con il governo, cui Erdogan aveva promesso di farla pagare cara, così come a ogni oppositore targato sol per questo come nemico e come tale da abbattere. E la hanno pagata e stanno pagando effettivamente cara: alcuni di loro con quasi sei anni di custodia cautelare e per sei di loro si vede una pena lunghissima. Una custodia cautelare che era stata punteggiata da assoluzioni in processi paralleli e simili, addirittura basati sulle stesse “prove” di quello oggi concluso. Processi che avevano visto anche il cambio in itinere di tribunali considerati troppo deboli con gli imputati.

Con la posizione di Kavala che era stata investita nel 2019 anche da una pronuncia della Corte EDU, secondo la quale egli doveva essere scarcerato per mancanza dei presupposti indiziari di colpevolezza. Pronuncia disattesa dalla giustizia turca, che ha la più grande percentuale di non ottemperanza alle decisioni europee, attraverso l’escamotage delle rinnovate imputazioni a catena, oppure semplicemente facendo finta di nulla. Cosa resta oggi a Kavala e agli altri suoi quattro coimputati condannati? La Corte Costituzionale e poi la Corte EDU, oppure direttamente la Corte EDU, sostenendo che già si può prevedere la pronuncia della Corte Costituzionale.

Ed infatti, purtroppo, la decisione della Corte Costituzionale è fin troppo prevedibile: negli ultimi anni, con l’immissione di giudici nominati da Erdogan, non ha mai smontato nemmeno uno dei grandi processi politici: passarono i tempi in cui sia la Cassazione che la Corte Costituzionale cercavano di salvare qualcosa dello stato di diritto. Più speranza si può riporre nella Corte EDU, ma i tempi sono lunghi ed anche si giungesse ad un “annullamento” della decisione odierna, si sa che poi Erdogan e il suo governo non adempiranno al dettato europeo.

*Osservatore Internazionale Ucpi