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di Valentina Ruggiu

La Stampa, 29 maggio 2023

Intervista esclusiva dal carcere alla politica curda e femminista in carcere dal 2016: ex deputa e co-presidente dell’Hdp è detenuta con l’accusa farsa di “appartenenza a un’organizzazione terroristica”. “Questo è il mio settimo anno di prigionia e il tempo che passerò qui dentro dipende solo dagli sviluppi politici. La giustizia in Turchia non esiste perché la legge viene piegata per opprimere i dissidenti”. Sono fogli scritti fitti quelli che Sebahat Tuncel, ex deputata curda del Partito democratorico dei popoli (Hdp), ci fa avere attraverso il suo avvocato dall’istituto penitenziario Sincar N.1 di Ankara in cui è rinchiusa. Curda, di sinistra, attivista per i diritti umani e civili, pioniera dei movimenti femministi turchi e curdi, questa pasionaria di 47 anni rappresenta tutto ciò che Recep Tayyp Erdogan e i suoi alleati di governo odiano. Un megafono per la voce degli oppressi e degli esclusi che Ankara prova a silenziare da decenni sempre con la stessa accusa: appartenenza a un’organizzazione terroristica, che nel linguaggio governativo significa affiliazione al Pkk, il partito dei lavoratori del Kurdistan.

Sbattuta per la prima volta in cella nel 2006, Tuncel ne è uscita nove mesi dopo da deputata. La prima a vincere un seggio dal carcere, ma anche la più giovane parlamentare della storia della Turchia. All’interno della Grande assemblea ha continuato a combattere per i diritti del suo popolo, quello curdo, delle donne e della comunità Lgbtq. E nella lista degli argomenti ‘sconvenienti’ bisogna aggiungere anche l’appello per il riconoscimento del genocidio armeno: tema ancora vietato in Turchia. Nel 2012 Tuncel è raggiunta da una seconda condanna, che non viene eseguita grazie all’immunità parlamentare. Un’immunità che non sarà più valida quando nel 2016, da co-presidente del Partito delle regioni democratiche, viene arrestata davanti al tribunale di Diyarbakir mentre manifesta contro l’arresto di alcuni deputati dell’Hdp. Le vengono inflitti 15 anni di pena in un carcere di massima sicurezza, quelli di tipo F, e da detenuta ora sta affrontando un nuovo processo partito nel 2021. Insieme ad altre 108 persone è imputata nel caso Kobane, montato su fatti accaduti nel 2014, quando in Turchia si sollevarono proteste contro l’inerzia del Governo davanti alla caduta della città curdo siariana di Kobane per mano dell’Isis. Tra i chiamati alla sbarra anche Selahattin Demirtaş, incarcerato nel 2016, che con Tuncel convidide anche la carica di ex presidente dell’Hdp. Attraverso la sue parole prova a spiegarci la vita in carcere da prigioniero politico, il senso delle sue battaglie e il futuro della politica curda in Turchia.

Prima di tutto, come sta?

“Grazie per averci dato l’opportunità di far sentire la nostra voce in queste difficili condizioni. Come sto? Non so come rispondere a questa domanda. Dire che ‘sto bene’ non sarebbe veritiero date le condizioni in cui viviamo dentro e fuori dal carcere. Posso dire che sto bene di salute. Per farvi capire meglio mi limito a raccontarvi alcuni fatti da cui potete trarre da soli le vostre conclusioni. Per capire com’è la democrazia turca, basta guardarla: in questo paese la minima richiesta di diritti giustifica la detenzione. È per questo che migliaia di politici, attivisti, giornalisti ed esponenti del movimento curdo e delle donne sono tenuti ingiustamente e illegalmente come ‘ostaggi’ nelle carceri. E la politica anti-curda portata avanti dal Governo continua anche in prigione. Ad esempio quando il rilascio di centinaia di curdi viene rinviato o annullato con falsi pretesti, nonostante abbiano scontato gli anni di pena originariamente inflitti”.

Come la trattano in carcere da detenuta politica?

“Ci sono disparità. Ai detenuti ‘normali’ viene concesso il diritto al videotelefono di 30 minuti, ai prigionieri e detenuti politici invece una telefonata di 10 minuti. Ancora, gli altri detenuti in determinate circostranze hanno il diritto a 30 minuti aggiuntivi di telefono, mentre ai detenuti politici questo diritto non è concesso. In generale la vita quotidiana nelle carceri turche è una continua guerra e richiede molta forza di volontà. Siamo sottoposti a isolamento, una pratica iniziata sull’isola di Imrali e diffusosi poi in tutte le carceri. Specialmente con il Covid 19, i prigionieri politici sono stati messi in isolamento mentre i detenuti giudiziari sono stati rilasciati. In alcuni casi è imposta anche la doppia manetta, ovvero due prigionieri ammanettati l’uno all’altro. Non c’è abbastanza personale sanitario, l’alimentazione non è buona e dobbiamo fare i conti con le telecamere puntate h24 su di noi, compreso quando andiamo al bagno. Due principi sono validi nelle carceri in Turchia. Primo, lo Stato ha sempre ragione. In secondo luogo, se i detenuti hanno ragione, si applica il primo principio. Obiettare alle pratiche dell’amministrazione penitenziaria comporta il rischio di sanzioni disciplinari come la privazione della visita, la sospensione da determinate attività e vessazioni giudiziarie. Ho provato a battermi contro le ingiustizie in carcere. Sono stata condannata a 1 anno e 3 mesi”.

Le viene permesso di tenersi aggiornata sugli avvenimenti elettorali di questi giorni?

“Purtroppo non è possibile seguire appieno il processo elettorale o gli sviluppi politici, sociali ed economici in carcere. Possiamo seguire ciò che sta accadendo solo attraverso canali televisivi e giornali consentiti dal carcere, ovvero quelli filogovernativi. I giornali e le riviste di opposizione non ci sono perché “minacciano la sicurezza pubblica”. Cerchiamo di ottenere informaizoni attraverso le chiamate che riceviamo durante la visita o nei 10 minuti di chiamata a settimana che abbiamo a disposizione”.

Per quanto tempo dovrà rimanere in carcere?

“Non so per quanto tempo rimarrò qui ancora. In Turchia l’indipendenza del potere giudiziario, come quello esecutivo e legislativo, è scomparsa e la politicizzazione della magistratura ha rimosso ogni prevedibilità dei casi. Il 90% delle cause intentate contro i politici curdi si basano su motivi politici. Allo stato attuale, il sistema giudiziario turco ha portato noi curdi fuori dal “normale” sistema legale. I turchi hanno il diritto di fare politica, organizzarsi e agire, ma quando a farlo sono i politici curdi, specialmente se sono donne e giovani, allora vengono accusati di “appartenere a un’organizzazione terroristica”. La libertà di pensiero, di espressione, i diritti umani fondamentali ei diritti costituzionali vengono usurpati. Ecco perché io ei nostri ex co-presidenti HDP, parlamentari e co-sindaci municipali siamo stati ingiustamente tenuti in ostaggio da 7 anni”.

È in carcere dal 2016, dopo una protesta a sostegno dei deputati HDP arrestati. Ora anche il processo per il caso Kobane. Tornasse indietro rifarebbe tutto?

“In carcere, le persone hanno molto tempo per pensare, per mettere in discussione le loro azioni e rendersi conto di ciò che hanno fatto o non sono riusciti a fare. Ripensandoci, lo rifarei. Sì, sono stato arrestato per solidarietà. Stiamo subendo un processo perché chiedevamo solidarietà per la popolazione curda di Kobanê, che in quel periodo stava resistendo alla brutalità dell’ISIS. Il pubblico ministero chiede 7 ergastoli aggravati, 2 ergastoli e 134 anni di pena”.

Lei è diventata per la prima volta deputata nel 2007, ma la sua carriera politica è iniziata alla soglia dei 20 anni. Cosa l’ha spinta a impegnarsi politicamente? C’è stata una figura che l’ha ispirata?

“Sono nata e cresciuta in una famiglia politicamente impegnata. Alcuni membri della mia famiglia sono stati detenuti e torturati durante il colpo di stato militare fascista del 12 settembre 1980. Inoltre sono cresciuta in un ambiente impregnato della tradizione curda, alevita e di sinistra, questo ha naturalmente giocato un ruolo fondamentale nel determinare come sarebbe stato il mio percorso. In particolare negli anni 90, la politica statale di negazione, distruzione e assimilazione nei confronti del popolo curdo, l’evacuazione di migliaia di villaggi e la migrazione forzata di milioni di curdi, mi ha portato a sviluppare una coscienza politica curda. In questo percorso mia zia, che studiava all’università di Istanbul, si è unita alla guerriglia, e la mia attenzione per le idee marxiste socialiste mi ha portata a prediligere la visione di una società senza classi e sfruttamento. Poi l’incontro con gli studi femministi e l’inizio del mio lavoro in una commissione dedicata in quartiere di Istanbul”.

Se dovesse vincere l’opposizione, crede in una svolta per la questione curda?

“Per risolvere il problema curdo, prima di tutto, dovrebbero essere analizzati bene gli ultimi 200 anni di storia politica ed economica del Medio Oriente e 100 anni di storia politica ed economica della Turchia. A meno che la politica di sterminio, negazione e assimilazione su cui si basa la Turchia dal 1924 non cambi completamente, una soluzione al problema curdo non sembra possibile. L’approccio dell’opposizione (L’alleanza Nazionale guidata da Kilicdaroglu) al popolo curdo e al problema della libertà in Turchia è lontano dalla possibilità di trovare una soluzione. Le conquiste ottenute dai curdi in Turchia sono state pagate a caro prezzo e sono il risultato della lotta organizzata del popolo curdo. Se notate, la campagna elettorale in Turchia è stata centrata sui discorsi contro i curdi e sul nazionalismo. Tuttavia un cambio di potere, la democratizzazione, la garanzia dei diritti umani e delle libertà, la garanzia dell’indipendenza del potere legislativo, giudiziario ed esecutivo e il rispetto degli accordi internazionali faranno respirare i popoli della Turchia. In un ambiente democratico sarà più facile dare voce ai problemi e portare il tema della questione curda all’ordine del giorno. Quando il governo cambierà, lotteremo per il raggiungimento di una soluzione con il dialogo e la negoziazione. Ma la svolta nel cambio di potere sarà il fascismo o la democrazia?”.

Cosa ne pensa della scelta di HDP di condurre le elezioni sotto lo Yesil sol parti, il Partito della sinistra verde? Ci sono analisti che dopo il voto del 14 maggio hanno descritto questa scelta come una sorta di autogoal dal momento che non tutti i curdi sono di sinistra...

“L’ingresso dell’HDP alle elezioni con il Partito della Sinistra Verde è stata una necessità più che una scelta. Una decisione presa a causa della minaccia di chiusura dell’HDP (ndr accusato dal Governo di legami con il Pkk) e dell’esclusione politica dei suoi membri. Dal momento che non ho letto le critiche di cui parli, non posso commentarle. Sono certa però che i comitati di partito stanno già valutando il motivo per cui lo Yesil Sol Parti non ha raggiunto l’obiettivo desiderato. Verrà fatta un’attenta autocritica e ci si presenterà in modo più organizzato e forte per le prossime elezioni locali (ci sono elezioni locali nel 2024). Non va dimenticato però che dal 2015 i curdi sono la forza principale che frena la politica turca contro la sistematica violenza di stato nei confronti dei curdi e dei loro sostenitori. Nonostante il fatto che decine di migliaia di politici siano in prigione, che vengano nominati da Ankara amministratori fiduciari nei loro comuni e che tutte le loro istituzioni organizzate siano chiuse, i curdi persistono nella loro lotta. Se così tante pressioni e violenze fossero applicate a un altro partito, non credo che riuscirebbe a sopravvivere. Per queste ragioni il successo del Partito della Sinistra Verde non può essere sottovalutato”.

Cosa ne pensa della nuova alleanza di Kilicdaroglu con Özdağ? Tra i punti concordati non c’è alcuna apertura verso la rimozione dei sindaci fiduciari nelle città dove sono stati collocati dal governo al posto di quelli curdi, democraticamente eletti. Secondo lei questa scelta di CHP influirà negativamente sul voto curdo all’opposizione?

“Il fatto che Kılıçdaroğlu e il Partito Repubblicano (CHP) non siano riusciti a guadagnare voti significativi in Turchia, rimanendo nella fascia del 20-25%, è essenzialmente legato al suo mancato rinnovamento come partito fondatore della Repubblica. Il CHP, che è un partito socialdemocratico, non riesce a superare i suoi problemi strutturali dovuti alla crisi della socialdemocrazia a livello mondiale e alla crisi dello Stato-nazione rigido del kemalismo. Sebbene Kılıçdaroğlu e il CHP abbiano apportato alcuni cambiamenti, i problemi strutturali non sono stati toccati. La rigida mentalità dello Stato-nazione porta a sentimenti anti-curdi e anti-migranti e alla negazione del diritto alla vita per le identità diverse da quella turca. Pertanto, l’alleanza tra Kılıçdaroğlu e Özdağ è un’alleanza nazionalista reazionaria. Il fatto che la prevaricazione della volontà del popolo curdo (cioè dei fiduciari) sia al centro di questa alleanza dimostra che Kılıçdaroğlu non ha alcuna pretesa di avere un’amministrazione democratica e libera come sostiene. Il movimento politico curdo sta prendendo una posizione politica contro Erdoğan e l’Alleanza Popolare, che sta cercando di istituzionalizzare il fascismo. Tuttavia, dopo le elezioni, combatterà e resisterà contro tutti i tipi di forze razziste, fasciste, nazionaliste e sessiste, nonché contro le forze che considerano il popolo curdo come una nullità, indipendentemente da chi sia”.

In che modo la vittoria di Erdogan influenzerà il futuro del popolo curdo?

“Se Erdogan dovesse vincere le elezioni come primo atto scriverà una nuova costituzione per istituzionalizzare il regime fascista. È probabile che la sua vittoria porti nel breve periodo a contestazioni e ribellioni sociali. I prossimi giorni saranno difficili per la Turchia. Sicuramente l’alleanza sessista, nazionalista, religiosa e militarista stabilita da Erdogan continuerà a essere anticurda. I membri della magistratura che sono politicizzati e nominati dal governo continueranno ad agire sulla base come hanno fatto fino a oggi. Ma sono certa che gli sviluppi nel mondo e nella regione del Medio Oriente costringeranno Erdogan a cambiare”.

Che futuro sogna per la Turchia e per i curdi?

“Credo che il mio popolo sarà libero. L’autogoverno, il nostro paradigma democratico, ecologico, libertario delle donne prenderà vita e i popoli della Turchia e del Medio Oriente costruiranno una vita uguale nei diritti, libera, democratica e pacifica. Sto combattendo per questo”.