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di Angelo Picariello

Avvenire, 23 aprile 2023

Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Ostellari è reduce da una serie di visite ispettive nelle carceri, nel corso delle quali, anche interloquendo con i direttori e il personale di vigilanza, ha maturato la convinzione che occorra intervenire a tutela del loro lavoro, spesso oggetto di denunce temerarie: “Servirebbe - auspica Ostellari - una proposta di legge che, senza intervenire sulla tortura, agisca invece sui protocolli interni in situazioni particolari”.

La proposta di Fdi che punta ad abolire il reato di tortura, oltre a toccare principi di umanità garantiti dalle norme internazionali, non stride anche con i principi costituzionali?

La questione non si pone. Il ministro Nordio ha chiaramente affermato che “il reato di tortura è odioso e il governo ha tutte le intenzioni di mantenerlo”. L’articolo 117 della Costituzione pone dei vincoli al legislatore, che trovano il loro perimetro nel rispetto degli obblighi e degli strumenti internazionali a cui l’Italia ha aderito, quali il Patto internazionale sui diritti civili e politici, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e la Convenzione Onu del 1984.

Perché intervenire su una materia così scivolosa?

La politica deve dare risposte dove servono, assumendosi la responsabilità di compiere delle scelte. È un fatto, riconosciuto un po’ da tutte le sigle sindacali, che gli agenti di Polizia Penitenziaria in forza negli Istituti italiani non abbiano un dispositivo adeguato che ne assicuri la piena ed efficace operatività. E questo non va solo a scapito del personale di sorveglianza, ma anche dei ristretti. Faccio un esempio: se un detenuto appicca il fuoco ad un materasso e rifiuta di abbandonare la cella, gli agenti, per salvarlo, sono costretti a trascinarlo fuori con la forza. A oggi quest’azione potrebbe essere oggetto di incriminazione.

Come pensa si possa intervenire senza violare i principi costituzionali?

L’idea è di lasciare invariato l’articolo 613 bis del codice penale, che identifica il reato di tortura e intervenire, piuttosto, sull’articolo 53 che disciplina l’uso legittimo della forza, consentendone l’applicazione entro margini più ampi di quelli attuali, come per esempio quando si necessiti di eseguire un arresto regolare. Unitamente, prevedendo una serie di modifiche al Regolamento sull’ordinamento penitenziario, che stabiliscano, attraverso un protocollo chiaro, degli orientamenti operativi la cui osservanza metta gli agenti al riparo da eventuali successive contestazioni. Non si rischia così lo stesso di andare a coprire gli abusi, anche gravi, che purtroppo sono stati acclarati in alcuni casi? Il rispetto delle regole deve valere per tutti e se qualcuno sbaglia va punito. Premesso questo, a legislazione vigente, l’operatività della Polizia Penitenziaria, e anche in generale delle altre Forze dell’Ordine, è inequivocabilmente vulnerata.

Un passo in avanti serve a tutti. A volte invece sembra che ci sia l’esigenza di piazzare bandierine...

Non si tratta piantare bandierine ideologiche, ma migliorare il sistema dell’esecuzione penale. Avendo ben in mente un obiettivo: ricomporre la pericolosa divisione ideologica fra diritti dei detenuti e diritti del personale, che ha sempre impoverito il dibattito e quindi impedito scelte appropriate. Non si tutelano i primi senza la garanzia dei secondi e viceversa. Tanto quanto non si costruisce la sicurezza nelle nostre comunità, senza la piena la rieducazione di chi è detenuto. La Costituzione indica la strada: le pene vanno eseguite senza sconti, assicurando ai detenuti di accedere ad un trattamento adeguato, che ne consenta la piena riabilitazione. Il motto della Polizia Penitenziaria è “Despondére spem munus nostrum”, “Il nostro compito è garantire la speranza”. Collaboriamo con responsabilità a renderlo sempre più vivo e fecondo.