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di Paolo Colonnello

La Stampa, 16 giugno 2023

 Se effettivamente il rimpianto per l’abolizione dell’abuso d’ufficio deciso dal Guardasigilli Nordio può ben dirsi minimo, trattandosi di un cosiddetto reato “grimaldello” spesso paralizzante per le attività delle pubbliche amministrazioni (in fondo Silvio Berlusconi abolì il ben più grave falso in bilancio, anticamera della bancarotta fraudolenta), il resto dell’impianto della riforma varata ieri dal Consiglio dei ministri giusto all’indomani dell’addio al defunto leader di Forza Italia, lascia non poche perplessità. Da una parte, infatti, introduce una pericolosa disparità di trattamento tra colletti bianchi e tutti gli altri, e dall’altra riduce ulteriormente il perimetro di controllo democratico della cronaca sugli atti giudiziari, che non è un capriccio voyeuristico dei giornalisti ma un diritto costituzionalmente garantito e regolato da norme deontologiche e leggi severe.

L’aspetto più eclatante lo si rileva alla voce “collegialità e misure cautelari”, che introduce ben due ordini di problemi. Il primo è relativo al cosiddetto principio del “contraddittorio preventivo”: d’ora in poi l’indagato, prima di essere arrestato, dovrà essere convocato dal giudice che, dopo avergli inviato tutti gli atti, lo interrogherà alla presenza del difensore e poi deciderà se arrestarlo oppure no: bellissimo. Peccato che non funzioni per tutti. Funzionerà ad esempio, e solo talvolta, per chi è accusato di corruzione o concussione, reati per i quali la flagranza è quasi impossibile. Non funzionerà per il ladruncolo del supermercato, che magari che ha provato a scappare e a buttar via la refurtiva, dimostrando sia il pericolo di fuga che l’inquinamento probatorio, due delle circostanze per le quali non è più possibile la “previsione di contraddittorio” di cui sopra. E se c’è la possibilità di reiterazione del reato, per esempio violento, allora non si discute: scattano le manette. Ma se il discrimine sono i soliti tre elementi che determinano già oggi un arresto, ovvero inquinamento probatorio, pericolo di fuga e reiterazione del reato, quale sarà la differenza con prima? Che chi potrà permettersi un buon avvocato si siederà davanti al giudice per poi evitare quasi sicuramente l’arresto, chi non potrà, andrà in carcere come al solito. Il secondo aspetto invece riguarda l’istituzione di un collegio di tre giudici che dovrà decidere l’eventuale provvedimento di arresto o carcerazione, compito che oggi spetta al solo giudice monocratico. Nei piccoli tribunali, che già faticano a fronteggiare la normale amministrazione, sarà praticamente impossibile fare arresti, poiché i tre giudici che decidono una misura cautelare non potranno partecipare ovviamente ad altri gradi di giudizio, pena la ricusazione. Per i tribunali più grandi sarà comunque un problema. E i 250 nuovi giudici previsti da Nordio, nonché il differimento della norma di due anni, non basteranno davanti a un vuoto di organici già ora pari a mille unità in tutt’Italia. Il che porta la nuova legge direttamente nel limbo dei sogni neanche tanto belli ma soprattutto irrealizzabili. Oppure già realizzati ma rivestiti di nuove e più barocche forme. Infine le intercettazioni che escludono dalla pubblicazione “il terzo estraneo”, cioè chi finisce in un brogliaccio senza essere indagato. A deciderne la rilevanza però sarà ancora il giudice che dovrà depositare gli atti, anche se con tutte le cautele del caso. Cosa cambia? Poco o nulla. Se non che per i giornalisti sarà ancora più difficile pubblicare e raccontare ciò che non sempre appare negli atti depositati. Con buona pace di inchieste come quelle delle violenze alla questura di Verona e di quell’equilibrio tra diritto di cronaca e diritto alla privacy indispensabile per una sana democrazia.