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di Simona Musco

Il Dubbio, 27 ottobre 2023

Stampa e magistrati attaccano il giudice che ha negato la misura cautelare per 142 accusati di associazione mafiosa. Muta l’Anm, lo difende solo Roia. L’accusa è singolare: il giudice ha fatto copia e incolla. A dirlo sono stati i pm di Milano “bocciati” dal gip Tommaso Perna, che ha “osato” rigettare la richiesta di arresto avanzata dalla Dda per 140 persone. Normale dialettica processuale, verrebbe da dire. E invece no, perché Perna, giovane giudice in forza al Tribunale di Milano, è finito nel ciclone, accusato, addirittura, di spargere “veleni”.

La colpa di Perna, stando agli accurati resoconti della stampa che già poche ore dopo il blitz - scattato per “sole” 11 persone alle tre di notte - pubblicava numerosissimi dettagli dell’inchiesta, sarebbe stata quella di copiare dal blog di un avvocato, Salvatore Del Giudice, parti della sua corposa ordinanza di custodia cautelare. Ordinanza scritta analizzando 5mila pagine di richiesta, consegnate al giudice ad aprile, nelle quali il magistrato non ha trovato indizi sufficienti dell’esistenza di un “triumvirato” mafioso. In effetti, incollando le poche righe incriminate sul web è possibile arrivare al blog al quale Perna avrebbe attinto. Si tratta - questa la seconda critica - di un penalista “senza alcuna competenza sulla criminalità organizzata”.

Ma sarebbe bastato andare in fondo alla pagina per scoprire un piccolo dettaglio: l’autore di quello scritto non è Del Giudice (che infatti non firma nulla), bensì - la fonte è citata - “Tribunale Bari sez. uff. indagini prel., 22/05/2019, (ud. 22/05/2019, dep. 22/05/2019)”. Insomma, la colpa di Perna è aver cercato riferimenti in altre pronunce giudiziarie (su un blog dove vengono pubblicate sentenze) per argomentare la sua decisione, che, evidentemente, avrebbe dovuto avere i caratteri dell’originalità, come se si trattasse di un’opera letteraria. Un’accusa incredibile, se si considera che, normalmente, il copia e incolla è proprio la tecnica più elogiata, quando si concretizza con la fedele adesione del gip alla richiesta cautelare.

Non solo. Il tono di Perna sarebbe stato ironico, ironia che trapelerebbe, secondo i critici, dall’aver definito l’ipotesi di un “sistema lombardo” una “assoluta novità nel panorama geografico italiano, ma invero anche mondiale e storico”. Che poi era proprio la tesi che avrebbe voluto dimostrare la procura, a quanto pare, stando al giudice, senza portare sufficienti prove. Perna - questa l’idea - avrebbe agito in una sorta di guerra con la procura che in realtà, fanno sapere fonti interne ben informate, è molto blanda rispetto a quella tutta interna alla Dda di Milano, dove l’inchiesta avrebbe provocato più di un mugugno, per usare un eufemismo. Forse complice anche - ma non solo - la richiesta avanzata mesi fa dal capo della Dna Giovanni Melillo di attivare un raccordo con le altre procure. C’è poi un altro dato: sui giornali sono finiti ampi stralci della richiesta di misura cautelare, tecnicamente non pubblicabili - in quanto segreti -, che hanno consentito di scandagliare i rapporti tra gli indagati e i partiti politici. Una violazione che, probabilmente, non verrà valutata dal alcun giudice per le indagini preliminari.

L’eccessiva “attenzione mediatica” riservata a Perna ha spinto il presidente del Tribunale di Milano, Fabio Roia, ad intervenire per difendere il collega. “Il controllo del gip - ha scritto in una nota - lungi dal dover essere classificato come una patologia evidenzia il fondamentale principio dell’autonomia della valutazione giurisdizionale in un sistema organizzativo e tabellare che impone il rispetto del principio del giudice naturale e che, quindi, è indicato secondo criteri oggettivo e predeterminati e non è scelto secondo criteri preferenziali. Un controllo che, in altro provvedimento richiamato come connesso a quello in esame, ha già trovato una iniziale conferma in sede di giudizio di merito con l’assoluzione in esito a giudizio abbreviato o il proscioglimento al termine dell’udienza preliminare degli imputati da analogo associativo (416 bis c.p.). Su queste coordinate di intervento e di rispetto della distinzione dei ruoli, la sezione gip-gup del tribunale di Milano ha inteso operare anche in questa vicenda che ha registrato l’assoluto rispetto delle regole codicistiche e di organizzazione del lavoro giudiziario”.

Il riferimento di Roia è ad alcune inesattezze riportate dalla stampa, che hanno utilizzato il precedente dell’indagine “Medoro” del Ros: il gip Lidia Castellucci aveva smontato l’accusa di associazione, ma poi - scriveva ieri Repubblica - l’inchiesta sarebbe “approdata a condanne robuste in assise”. Un falso storico, dal momento che stando alla sentenza del giudice dell’udienza preliminare Guido Salvini (dunque non della Corte d’Assise) l’esistenza di una locale di ‘ndrangheta non sarebbe sufficientemente dimostrata, mentre le posizioni dei generi del boss Mancuso sono state stralciate e inviate a Catanzaro. L’unica cosa riconosciuta, per due estorsioni, è stata l’aggravante del metodo mafioso. Che è una cosa ben diversa.

La polemica sembra destinata a proseguire e moltissimo peserà la decisione del Riesame, al quale l’accusa ha già fatto ricorso. Il tutto mentre l’Anm, intanto, rimane muta.