di Errico Novi
Il Dubbio, 14 gennaio 2023
Adesso Fratelli d’Italia e Lega giocano in difesa. Di fronte al tiro al bersaglio in corso contro la riforma Cartabia, i sottosegretari che rappresentano i due partiti al ministero della Giustizia, Andrea Delmastro e Andrea Ostellari, annunciano “interventi correttivi al decreto penale, prodotto dal precedente governo su impulso della ministra Cartabia”, perché, per citare l’esponente del Carroccio, “non devono ripetersi episodi come quelli a cui abbiamo assistito in queste ore, con la messa in libertà di alcuni soggetti colti in flagranza di reato, per mancanza di querela da parte della persona offesa”. È una reazione in parte comprensibile. Di un governo, e di una maggioranza, scossi dall’uragano scatenato contro la riforma di un precedente esecutivo. Ma l’attacco concentrico è sospetto.
Vi partecipano gran parte dei media, pm come Nicola Gratteri, che parla ancora una volta del testo Cartabia come di un “disastro”, partiti come i 5 Stelle, ora all’opposizione ma che votarono eccome la legge delega quand’erano in maggioranza. Da giorni la stampa cita sempre gli stessi tre o quattro casi: il furto in albergo di Jesi, il furto d’auto in Veneto e certo, il fatto più grave, il sequestro di persona attuato da tre “presunti mafiosi” (definizione di Gratteri) del rione Pagliarelli di Palermo nei confronti di due rapinatori “disobbedienti”.
Proclami di abbattimento della riforma basati su vicende che si contano sulle dita di una mano, un paio bagatellari, un’altra da considerarsi come un caso limite. Ed è difficile allontanare l’impressione che il vero problema sia la piccola rivoluzione prodotta dall’intervento dell’ex ministra, che apre al superamento del panpenalismo, all’idea del processo, anzi delle iniziative inquirenti, come antidoto a qualsiasi emergenza. Non una depenalizzazione, ma almeno un tentativo di abbattere quel moloch in cui si è trasformata la repressione dei reati.
Certo, il caso di Palermo fa impressione. Ieri ne ha parlato, con misura e garbo, il presidente del Tribunale del capoluogo siciliano, Antonio Balsamo: “La riforma del sistema penale, appena entrata in vigore, contiene molte innovazioni importanti, ma anche alcune disposizioni che rischiano di produrre effetti estremamente pericolosi per la sicurezza”. Si sofferma sul caso del sequestro operato dai tre boss, e si limita a chiedere l’esclusione dal novero dei sequestri di persona improcedibili quelli caratterizzati da una “circostanza aggravante ad effetto speciale”, fra le quali rientra “l’articolo 416 bis 1 del codice penale”. Strada percorribile, senz’altro. Ma intanto, come ha fatto notare due giorni fa Gian Luigi Gatta, il professore dell’Università di Milano che è stato consigliere di Cartabia, “l’aggravante del metodo mafioso è stata introdotta dopo le stragi di mafia degli anni Novanta, da più di trent’anni, quando il codice già prevedeva oltre quaranta reati procedibili a querela. Ci si preoccupa oggi, quindi, di un problema che, se esiste, esiste da trent’anni, ben prima della riforma Cartabia”.
E in ogni caso si potrà pure provvedere alla modifica suggerita da Balsamo, per impedire casi come quello di Palermo, che paiono davvero al limite dell’immaginabile. Ma un singolo, specifico aspetto di un provvedimento che ne comprende tanti altri, utili a decongestionare la macchina pensale, non dovrebbe giustificare un moto che sembra puntare al macero dell’intera riforma. A meno che appunto, il vero obiettivo non sia innalzare l’ennesimo inno al panpenalismo. Totem intoccabile da almeno trent’anni, diventato più importante di una giustizia che funzioni davvero.