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di Giovanni Bianconi

Corriere della Sera, 25 settembre 2023

Sono molti i misteri destinati a rimanere tali con la sua morte: dall’assassinio “saltato” di Falcone alla strage di via dei Georgofili a Firenze, dal tentato omicidio di Maurizio Costanzo alla custodia dell’archivio del “capo dei capi”, Totò Riina. Il fatto di essere l’ultimo latitante della stagione stragista di Cosa nostra, rimasto in circolazione fino a otto mesi fa, aveva trasformato Matteo Messina Denaro in un forziere di segreti. Destinati a restare tali anche ora che è morto, dopo essere stati una dei punti di forza del suo potere. Autentico o virtuale che fosse. Un forziere che poteva aprire solo lui, cosa che s’è ben guardato dal fare quando s’è trovato faccia a faccia con i magistrati inquirenti dopo la sua cattura. “Io non mi farò mai pentito”, ha subito avvisato il pm nel primo interrogatorio. E quel “se ho qualcosa non lo dico, sarebbe da stupidi” pronunciato davanti al giudice a proposito dei beni patrimoniali posseduti, si poteva tranquillamente estendere ai retroscena delle trame mafiose di cui è stato protagonista. Comprese quelle che hanno insanguinato, inquinato e persino deviato la storia del Paese.

L’omidicio di Falcone - Lui sapeva e avrebbe potuto spiegare, ad esempio, per quale motivo nel marzo del 1992 Totò Riina decise di cambiare idea sull’omicidio già programmato di Giovanni Falcone. Matteo faceva parte del commando inviato a Roma con l’intento di trovare e uccidere il magistrato durante la settimana, mentre era nella capitale per lavorare al ministero della Giustizia. Ma dopo qualche giorno in cui Messina Denaro e qualche altra “giovane leva” della mafia corleonese alternavano appostamenti andati a vuoto con lo shopping per le vie del centro, Riina decise di richiamare tutti in Sicilia perché aveva trovato un’altra soluzione: la strage di Capaci. In terra di Sicilia e con modalità terroristiche. Una scelta legata all’inconcludenza della “missione romana”, ma che conteneva in sé anche un cambio di strategia: non solo vendetta mafiosa, bensì un attentato così clamoroso da innescare una nuova “strategia della tensione”.

Le stragi - Il capomafia di Castelvetrano sa perché fu presa quella strada, e soprattutto perché si decise di continuare a percorrerla per tutto il 1993, prima e dopo la sua entrata in latitanza. Quando Messina Denaro si sottrasse al primo ordine di arresto, nel giugno del ‘93, Cosa nostra aveva già cominciato a uccidere nel continente, con la strage di via dei Georgofili a Firenze e il tentato omicidio di Maurizio Costanzo a Roma. Subito dopo, a luglio, esplosero le bombe di Roma e Milano: altri morti ignari, e la minaccia di colpire di giorno anziché di notte, con la minaccia di fare molte più vittime. C’era anche lui, nella riunione di inizio aprile ‘93, dove tra i mafiosi che avrebbero dovuto portare e far esplodere gli ordigni nelle varie città circolavano le foto e i dépliant turistici con le immagini dei luoghi d’arte da colpire. Chi e perché fece quella scelta? Con quale prospettiva politico-strategica da parte della mafia?

L’archivio del “capo dei capi” - Nel frattempo Riina era stato arrestato, a gennaio di quell’anno spartiacque, nel famoso blitz rimasto orfano della perquisizione del covo da dove era uscito il latitante la mattina della cattura. E da lì è scaturito un altro mistero tramutatosi in possibile segreto di cui ancora Messina Denaro sarebbe stato l’ultimo custode: l’archivio del “capo dei capi” sopravvissuto al suo stesso proprietario. Leggenda o verità che sia, è quello che hanno raccontato pentiti considerati attendibili come Nino Giuffrè, l’ex braccio destro di Provenzano consegnatosi ai carabinieri nel 2002 e divenuto collaboratore di giustizia. “Credo che parte dei documenti presi (dai mafiosi, ndr) a casa di Totò Riina siano finiti a Messina Denaro”, ha ripetuto più volte nei processi. Dopo l’arresto del 16 gennaio 2023 quel “tesoro” non è venuto fuori; gli inquirenti hanno trovate molte chiavi, ma senza scoprire quali porte possono aprire. Si cercano ancora uno o più covi segreti del boss, che non ha voluto parlarne: “Queste cose io, qualora ce le avessi, non le darei mai”.

L’agenda di Borsellino - Altri - tra cui quel personaggio più che ambiguo di Salvatore Baiardo, già protettore dei fratelli mafiosi Giuseppe e Filippo Graviano, che intorno alla malattia e poi alla cattura di Messina Denaro ha imbastito le sue ultime pirotecniche dichiarazioni - hanno ipotizzato che allo stesso Matteo fosse arrivata persino la famosa agenda rossa di Paolo Borsellino, sparita da via D’Amelio subito dopo la strage. Ma a sottrarre quel documento dalla scena del crimine, se così andò, non furono uomini della mafia; e se fosse vero che gli appunti segreti di Borsellino sono finiti in mano all’ultimo latitante della Cosa nostra stragista, lui avrebbe dovuto sapere tramite chi, e che uso ne è stato fatto. Poi ci sono i passaggi ancora nascosti della transizione dalla mafia che attacca lo Stato a quella che torna a conviverci, sotto la guida di Bernardo Provenzano, senza più bombe né “delitti eccellenti”, ma con nuovi accordi e referenti politici che hanno consentito a Cosa nostra di riprendere il suo andamento pre-stragi, insieme agli affari di sempre. Un cambio di strategia al quale Messina Denaro non solo s’è adeguato, ma che ha condiviso.

La “mafia silente” - La corrispondenza tra lui e lo “zio Binnu”, sequestrata dalla polizia nel covo alle porte di Corleone dove fu preso Provenzano nel 2006, dimostra che lo stragista del ‘93 era divenuto un sostenitore della “mafia silente” degli anni Duemila. Adottando lui stesso quella modalità di azione dopo la cattura di Provenzano, intrecciando a sua volta alleanze e complicità nella pubblica amministrazione e nel modo delle professioni che l’hanno aiutato a sfuggire alla giustizia fino al gennaio scorso. Nonostante il suo status di super-latitante e, negli ultimi tre anni, di malato bisognoso di cure complicate. Collusioni infarcite di ulteriori segreti e misteri. Forse di qualcuno si riuscirà a vanire a capo nonostante la morte del Padrino, ma molte speranze (probabilmente malriposte) di trovare risposte alle domande più impegnative e imbarazzanti se ne sono andate con lui.