sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Luca Benecchi

Il Sole 24 Ore, 26 giugno 2023

Sono passati quarant’anni dall’omicidio del Procuratore Capo della Repubblica di Torino, unico magistrato nella storia italiana assassinato dalla ‘Ndrangheta al nord. Ma la verità è emersa solo in parte. Bruno Caccia fu assassinato il 26 giugno 1983 mentre portava a passeggio il proprio cane. Venne affiancato da una macchina con due uomini a bordo che spararono numerosi colpi di arma da fuoco.

Sono passati quarant’anni da quella notte, e la memoria collettiva ha quasi perso le tracce di quel magistrato torinese che negli anni di piombo era stato protagonista di tanti processi contro le Brigate Rosse. Difficile che qualcuno ne abbia un ricordo e ne restituisca i meriti. Sembra una di quelle storie che la Repubblica ha dimenticato e sepolto sotto migliaia di pagine di atti di processuali. Atti che non hanno mai spiegato il perché di quello che è accaduto.

Nato a Cuneo il 16 novembre del 1917, Bruno Caccia fu nominato procuratore capo della Repubblica nel 1980. Secondo alcuni è morto perché era un uomo integerrimo, incorruttibile. Per il suo amico di sempre, il giudice Mauro Vaudano, fu ammazzato per quello che aveva fatto, per le inchieste che seguiva. Per altri ha invece semplicemente pagato per uno sgarbo fatto alla persona sbagliata.

Depistaggi e lotta al terrorismo - A suo figlio, poche ore prima dell’assassinio, confidò: “Sta per succedere qualcosa di grosso”. Nessuno ha potuto capire a cosa si riferisse. Una cosa è certa, già pochi secondi dopo l’esecuzione sono cominciati i depistaggi. Uomo di destra, discuteva spesso con Gian Carlo Caselli e difendeva il ruolo del magistrato come presidio costituzionale super partes. Insieme, si può ben dire, hanno avuto il merito storico di portare il primo grande colpo dello Stato al terrorismo rosso. Sin da subito le indagini degli inquirenti presero la pista delle Brigate Rosse: appena mezz’ora dopo l’agguato, un uomo chiamò il centralino del quotidiano La Stampa: “Non capisco, stavo dormendo, è squillato il telefono. Un tale mi ha detto di avvertirvi subito e di dirvi che loro, le Brigate Rosse, hanno ucciso il dott. Bruno Caccia”.

La ricerca di un movente credibile - Tuttavia quindici giorni dopo l’omicidio, l’11 luglio 1983, le Brigate Rosse negarono ufficialmente di essere autrici del delitto: “Con la morte di Bruno Caccia noi non c’entriamo - dichiarò il brigatista Francesco Piccioni leggendo un comunicato nell’aula del carcere Le Vallette -. Questo è un omicidio a cui purtroppo siamo estranei”. In effetti così è stato. Se un mandante credibile non è mai stato individuato, le sentenze dei tribunali non hanno trovato neppure un movente vagamente credibile.

C’è però il nome di chi ha sparato, Rocco Schirripa. Lo avrebbe fatto su indicazione di Domenico Belfiore, esponente della criminalità calabrese che in quei tempi aveva già messo radici profonde nel Nord Italia. Erano gli anni in cui dilagavano i sequestri di persona. In giro c’erano un sacco di soldi da ripulire. La parola ‘Ndrangheta non era ancora così conosciuta e si può dire che proprio grazie al processo Caccia conquistò per la prima volta i titoli di quotidiani e telegiornali italiani.

Nel podcast prodotto dal Sole 24 ore e da Radio 24 dal titolo: “Ucciso e dimenticato. La figlia del giudice Bruno Caccia racconta 40 anni senza giustizia”, Paola Caccia racconta come è cambiata la sua vita dal quel giorno. Racconta chi era suo padre, i sospetti e le piste investigative mai seriamente seguite. Ma anche come è riuscita a fare i conti con un dolore così grande. Come ha trovato la sua via di uscita.

“Perché io non so niente di cosa è successo per ammazzarlo - ricostruisce nel podcast - ma so quello che è successo dopo. Vedendo quello che è successo dopo, ho capito che in tanti devono nascondere qualcosa di grosso. Perché se no per quarant’anni se ne sarebbe potuto parlare. Invece non se ne è potuto parlare. Ed è ancora così, perché purtroppo per questo io rompo ancora delle amicizie. C’è qualcosa di indicibile”.