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di Francesca Mannocchi

La Stampa, 10 luglio 2023

Sono loro i più esposti alla povertà e all’isolamento ma hanno deciso di restare per rispetto ai loro ricordi. Sedute su una panchina di fronte a un magazzino distrutto di Ozerne, oblast di Donetsk, Lidya e Oksana cercano l’ombra al sole di mezzogiorno. Lidya ha 76 anni, Oksana 72. Sono due tra le pochissime anime rimaste ad abitare la distesa di campi di grano interrotta da una bottega, ormai chiusa, un parco giochi abbandonato e un edificio che prima della guerra fungeva da succursale della municipalità e che oggi serve a distribuire acqua e pane e a ospitare i dottori che una, o due volte a settimana incontrano gli anziani per portare medicine altrimenti introvabili.

Lydia vive con il marito Ihor ottantenne in una fattoria distante due chilometri dal punto di ritrovo e soccorso. Li percorre da sola, trascinando una carriola, sperando che non sia vana la fatica di raggiungere i volontari e portare indietro una cassa d’acqua e qualche scatola di medicine per il diabete di Ihor. Oksana vive con le due sorelle, una delle due ha problemi alla colonna vertebrale, non si muove da casa da mesi, il dolore talvolta le è insopportabile, la lista dei farmaci di cui avrebbe bisogno è lunga e costosa. Stentavano a fare fronte ai costi prima del conflitto, adesso che nei villaggi mancano i medici e stentano ad arrivare le pensioni, non le resta che assistere a quel dolore e pregare, sperare che quando arrivino i medici insieme a loro ci siano i pannoloni per l’incontinenza, perché la guerra impatta anche le forme meno visibili della vergogna, al rischio di perdere la dignità.

Ripristinare un senso di dignità - Per molte donne anziane, la mancanza di accesso all’assistenza sanitaria ha avuto un impatto sul loro senso di dignità. Ogni frase delle due donne è scandita da un segno della croce. Gli anziani sono le persone esposte al rischio maggiore di questa guerra.

Il 25% della popolazione ucraina, nove milioni di persone, ha superato i sessant’anni, il 44% delle persone con più di 70 anni vive da solo. Secondo le organizzazioni locali che li seguono dall’inizio del conflitto, come Help Age International, più della metà degli anziani sta vivendo un profondo disagio psichico. “Da quasi un anno e mezzo gli anziani in Ucraina stanno lottando per avere cibo, medicine, assistenza sanitaria a sufficienza” dice Dimitrije Todorovic, direttore nazionale dell’organizzazione. “Deve restare una priorità raggiungere le persone nei villaggi più sperduti, una priorità concentrarci su chi è più esposto alla povertà e all’isolamento, anziani spesso soli e talvolta disabili”.

I funzionari e i volontari ucraini hanno invitato i residenti delle zone prossime al fronte alle evacuazioni. La maggior parte ha risposto alla chiamata, quando - come nel caso di Bakhmut caduta a maggio - alcune famiglie manifestavano resistenza i bambini accompagnati da un genitore sono stati costretti ad andare via per essere messi in salvo, ma per gli anziani la decisione di non andare equivale alla devozione che si deve al posto che si è costruito, sebbene ne restino solo rovine, sebbene i figli siano a combattere o peggio a occupare posti nei cimiteri, le figlie e i nipoti diventati sfollati interni o profughi.

Decidono di restare per rispetto dei loro ricordi accumulati pietra su pietra, e faticano a sopravvivere proprio perché il conflitto ha distrutto pezzo dopo pezzo quelle medesime pietre. Valeria Leonova è una giovane dottoressa originaria della regione di Donetsk. Due volte a settimana raggiunge i villaggi rurali sperduti e prossimi alle linee del fronte con la quadra di Medici Senza Frontiere con cui lavora.

Due giorni fa ha raggiunto Kryva Luka e Ozerne. Essendo originaria della regione di Donetsk, alla guerra è abituata, così come ai suoi effetti, perciò per lei è stato istintivo, naturale, mettersi a disposizione dei vulnerabili e insieme poter continuare a svolgere la sua professione. La piccola clinica dove prestava servizio è stata distrutta, il suo paese si è fatto dimora di chi vuole morire dove è sempre vissuto e così Valeria il martedì e il giovedì parte da Sloviask, base dell’associazione, riempie l’auto di casse di farmaci, indossa il giubbotto antiproiettile e raggiunge piccoli centri abitati da reggimenti di soldati e sguardi smarriti degli anziani che faticano a riconoscere il luogo in cui hanno sempre vissuto.

Attraversa ponti mobili che sostituiscono quelli distrutti, file di abitazioni piegate dai mortai, colonne di mezzi corazzati che vanno verso il fronte, e apre dei piccoli fabbricati dove l’aspettano a decine. Racconta che l’assenza di presidi medici ha portato a un aumento delle malattie croniche, che ha visto peggiorare lo stato psicofisico dei pazienti ogni volta che è tornata, perché la tensione fa emergere le malattie dormienti, aumenta la pressione, lo stato d’ansia, perché per un anziano è più difficile riconoscere prima e ammettere poi di avere un problema psicologico causato da mesi di paura, perdita, isolamento e prossimità alla violenza.

Dall’inizio dell’invasione, lo staff di Medici Senza Frontiere lavora ogni giorno per raggiungere i villaggi prossimi al fronte sulla linea ucraina. Nonostante le richieste di lavorare su entrambi i lati del conflitto, le squadre possono operare solo nelle aree sotto il controllo ucraino. “Lungo i 1.000 km di prima linea alcune aree sono state semplicemente cancellate dalla mappa”, ha detto Christopher Stokes, responsabile dei programmi per MSF nel Paese. “Abbiamo visto case, negozi, parchi giochi, scuole e ospedali ridotti in macerie, in molte delle città in cui lavoriamo la distruzione è totale”.

Medici Senza Frontiere denuncia l’attacco alle strutture sanitarie dall’inizio del conflitto, già a metà 2022 le squadre di Msf avevano assistito agli effetti delle munizioni a grappolo sugli ospedali a Mykolaiv e Apostolove, attacchi che avevano provocato la sospensione dei pazienti all’accesso alle cure mediche. In autunno avevano testimoniato la presenza di mine antiuomo in ospedali che erano stati sotto occupazione russa nelle zone di Kherson, Donetsk e Izyum e scoperto che diverse strutture mediche nelle aree liberate dall’occupazione russa erano state saccheggiate, i veicoli medici - ambulanze comprese - distrutti, e nei magazzini degli ospedali erano stati stoccati armi e esplosivi.

Il messaggio ai civili è chiaro: chi ha bisogno di medicine e cure sa che nemmeno gli ospedali sono più un luogo sicuro. Vita Statkevych è la psicologa di supporto al team, lunghi capelli neri, occhi di ghiaccio. È la prima cui vanno incontro le anziane quando scende dai mezzi di Medici Senza Frontiere. Apre gli sportelli dell’auto e tira fuori due piccole seggiole, le sistema sotto l’ombra degli alberi e inizia a parlare con le donne, una alla volta. Prima erano tutte diffidenti, ora hanno capito che parlare è il primo passo per poter tollerare di vivere in una terra che è la guerra ha reso deserto.

Iryna, 69 anni, dice che quello che non riesce a superare è che per lei vivere in una zona rurale, far crescere i suoi figli e i suoi nipoti a Ozerne, significava sentirsi parte di una comunità. La sua fattoria era il punto di ritrovo di tutta la famiglia, dei figli e dei figli dei figli. Poi quando è iniziata la guerra sono andati tutti via, lei è rimasta a cucinare per le dodici persone che ancora vivono lungo la strada. Era la sola a uscire dal rifugio per accendere il fuoco, prima per sfamare gli anziani, poi per sfamare anche i soldati. Ora il rumore dei colpi è cessato o si presenta come un’eco in lontananza. Ma lei sa che non è finita e che il silenzio, temporaneo, non corrisponde né alla pace né al ritorno degli ultimi anni della sua vita per come li aveva sperati. Non ha bisogno di niente, non le servono medicine, le serve poter dire a qualcuno che è esausta e che l’oscurità della notte le ha distrutto i nervi.

La dottoressa Statkevych la ascolta, quando Iryna prova a trattenere il pianto in un liso fazzoletto di stoffa le prende la mano e le dice: “Piangi pure, te lo devi, ti stai ancora prendendo cura di tutto, anche dodici persone sono una comunità, ridotta, ferita, ma pur sempre una comunità”. Di anziani che aspettano il ritorno dei figli dal fronte e non possono più vedere i loro nipoti giocare, immaginare il futuro, desiderare la spensieratezza che la guerra ha sottratto loro.