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di Nathalie Tocci

La Stampa, 21 gennaio 2023

Siamo a un punto di svolta nella guerra in Ucraina. L’ultimo incontro dei ministri della Difesa della Nato e dei Paesi partner nella base tedesca di Ramstein non ne è la causa, ma la conseguenza. Al netto dei dettagli militari - dalle decisioni riguardo l’invio di sistemi di difesa aerea statunitensi Patriot, i carri britannici Challenger e i francesi Amx-10, fino alle diatribe sui carri tedeschi Leopard e gli americani Abrams - come va politicamente questo cambio di passo?

In Occidente si è andata consolidando la consapevolezza che Mosca non è interessata a negoziare. Il Cremlino è ottusamente determinato a proseguire la guerra, nonostante i fallimenti militari, l’indebolimento dell’economia e, soprattutto, i giganteschi errori di valutazione strategica riguardo la resilienza sociale e militare ucraina e quella economica e politica occidentale. La Russia sta perdendo la guerra sia militarmente in Ucraina sia energeticamente in Europa, ma questo non cambia di una virgola la strategia di Vladimir Putin. Come spesso accade nei sistemi dittatoriali, quando ci si ritrova in una fossa, si continua a scavare.

Putin continua imperterrito; anzi, pianifica una nuova escalation. È per questo che la propaganda russa sta gradualmente sostituendo la narrazione dell’”operazione militare speciale” con quella della “grande guerra patriottica”. Mosca fa finta di dimenticare che la Seconda guerra mondiale fu difensiva, e non aggressiva come questa. A differenza del secolo scorso, quando l’Urss vinse la guerra assieme alle potenze alleate, oggi Mosca è militarmente sola: fatta eccezione per Teheran, nessuno, inclusa Pechino, la sostiene militarmente, e nemmeno l’Iran appoggia l’annessione dei territori occupati dai russi in Ucraina. Anche Paesi vicini alla Russia hanno espresso critiche, da ultimo la Serbia, che ha stigmatizzato il ricorso ai mercenari del Gruppo Wagner. La narrazione della nuova “grande guerra patriottica”, però, non serve al Cremlino per rafforzare la propria legittimità internazionale, quanto per giustificare internamente una nuova mobilitazione di massa. Potrebbero arrivare altre 300mila truppe al fronte. Per quanto la stragrande maggioranza, inesperta e priva di mezzi e addestramento, finirà come carne da macello, ciò non toglie che si tratti di un rischio enorme per l’Ucraina. Non a caso la probabile escalation russa è stata al centro dell’incontro tra il capo della Cia Bill Burns e il presidente Volodymyr Zelensky due giorni fa.

Insomma, anche i più idealisti (ingenui, cinici, disinformati?) devono fare i conti con la brutale chiarezza delle parole e, soprattutto, delle azioni russe. Come già scritto su queste pagine nei mesi scorsi, lo scenario russo purtroppo rimane quello dell’escalation fino al collasso. È con questo che bisogna fare i conti. E che piaccia o no, farci i conti (rispettando sia l’integrità dei valori sia l’interesse nazionale ed europeo) significa sostenere militarmente Kiev, permettendole di difendersi dall’escalation russa.

A questo si aggiunge una seconda riflessione, di natura politico-temporale. L’unico reale vantaggio che Putin sa di avere rispetto non tanto all’Ucraina, ma all’Occidente, è il tempo. Non avendo un’opinione pubblica, istituzioni democratiche ed elezioni di cui tener conto, Putin è disposto a continuare la guerra a oltranza. Pensa che l’Occidente prima o poi si stancherà, e quello sarà il momento di rifarsi di tutte le disfatte militari subite. Il calcolo di Putin non è senza fondamento. Nel 2024 ci saranno sia le elezioni europee, sia le presidenziali americane. Mentre il sostegno all’Ucraina negli Usa per il momento è solido, non si può tuttavia escludere che il candidato dei repubblicani favorisca una politica di disimpegno, tanto più se quel candidato sarà (di nuovo) Trump. Da qui deriva la crescente presa d’atto, in Occidente, che bisogna fare il possibile affinché la guerra finisca il prossimo anno. Alla luce della prima consapevolezza - quella dell’escalation russa fino alla sconfitta - , l’unico modo per riuscire nell’intento è mettere gli ucraini nelle condizioni di sconfiggere la Russia liberando il proprio territorio.

Sarebbe meraviglioso un mondo in cui la liberazione dell’Ucraina possa avvenire attraverso il dialogo, la non violenza e la diplomazia. Purtroppo, non è il mondo in cui viviamo; sicuramente non è quello in cui vive Putin. Ramstein non è altro che la crescente presa di coscienza di tutto ciò.