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di Corrado Zunino

La Repubblica, 6 giugno 2022

Un milione di uomini sono rientrati per combattere (ma non ci sono le armi), l’altra metà sono famiglie che vogliono ripopolare il Centro-Ovest, da settimane lontano dall’assedio.

Il vero esodo, dopo cento giorni dall’inizio, è quello di rientro. L’Alto commissariato per i rifugiati ha contato 2,1 milioni di cittadini ucraini tornati in patria dalle quattro frontiere occidentali. La metà sono uomini che hanno offerto le loro braccia per combattere (ma non ci sono armi sufficienti per questo milione di riservisti). L’altra metà è fatta di madri e zie, bambini rumorosi e fidanzati abbracciati che sul bus che copre la tratta Chisinau (capitale della Moldavia) - Odessa (Ucraina sul Mare Nero) ti spiegano: “Vogliamo vivere nel nostro Paese”.

Quel numero certificato al 3 giugno scorso - 2,1 milioni - a fronte di sette milioni che hanno lasciato l’Ucraina dal 24 febbraio, dice dello spirito nazionale (e nazionalista) di questo popolo. Sette milioni di ucraini scappati - un esodo biblico, peggiore delle peggiori previsioni, che erano degli americani e parlavano di 5 milioni di rifugiati dopo l’aggressione russa - sono una catastrofe umanitaria e un kalashnikov puntato da Vladimir Putin contro l’Europa ostile, ma oggi, con il Centro-Ovest relativamente in pace, il vero dato è quello del rientro. Odessa si è ripopolata, Leopoli ha quasi mezzo milione di abitanti in più, spesso di passaggio. I treni, sempre da Chisinau a Odessa, vanno prenotati con uno o due giorni di anticipo o non si trova posto.

Leopoli, dicevamo. Ha conosciuto l’ultimo attacco l’8 aprile scorso: missili tra i condomini, sette morti tra cui un bambino e undici feriti. Ma la capitale culturale del Paese non ha mai perso il suo ruolo di riferimento della difesa ucraina, la città che ha ospitato spesso i ministri e le autorità d Kiev, soprattutto nela fase in cui la capitale è stato sotto assedio. Ancora, Leopoli ha nutrito i profughi dall’Est, sia quelli che volevano proseguire per la vicina Polonia che quelli, molti, che hanno scelto di tenere all’Ovest una residenza temporanea, di far seguire da Lviv le lezioni in remoto ai bambini e ai ragazzi bisognosi di non interrompere gli studi.

Odessa non si è mai davvero spopolata. Le minacce dal Mar Nero non sono cessate per un giorno, ma le mine flottanti se da una parte hanno bloccato quasiasi tipo di navigazione mercantile, dall’altra hanno rappresentato una difesa naturale dallo sbarco dei russi. Oggi la città vive in una quotidianità in apnea: gli avvocati e gli immobiliaristi si sono trasformati in traduttori, autisti, fixer. Odessa, candidata all’Unesco come città patrimonio dell’umanità (nonostante le speculazioni edilizie concesse in centro dal sindaco Gennadiy Trukhanov), non è stata sfigurata dai missili Tochka né da quelli in dotazione ai sottomarini. Fin qui hanno colpito aree periferiche o depositi di carburanti. E la popolazione resta, arrangiandosi, provando a far circolare comunque un’economia moncata dall’assedio. Manca la benzina, per esempio, come in gran parte del Paese. Ogni sabato e ogni domenica, per dire della voglia di vita, nelle chiese ortodosse di Odessa si celebrano matrimoni.

“Alle frontiere sono più gli ucraini che entrano che quelli che escono”, conferma l’ambasciata italiana, tornata a Kiev dopo un periodo di migrazione in un hotel di Leopoli (nella capitale sono cinquanta le ambasciate rientrate, dopo la prima fase dell’attacco). Persino in un avamposto dei combattimenti meridionali, quale è Mikolayiv, le persone resistono: i figli non abbandonano i padri, nonostante l’artiglieria pesante sia presente nelle aree di confine con Kherson e la città sia centrata con una raggelante continuità da razzi russi. L’economia della regione, sostiene il governatore Vitaly Kim, a sua volta sfuggito a un disastroso attacco missilistico il 29 marzo, viaggia al 20 per cento: “Molti imprenditori hanno dovuto sospendere ogni attività”.

Karolina Lindholm Billing, rappresentante dell’Alto commissariato (Unhcr) in Ucraina, ha raccontato al rientro dal suo ultimo viaggio nelle aree in maggiore difficoltà che “alcuni ucraini dell’Est ritornano nelle loro case nella regione di Luhansk perché non possono permettersi le spese da sfollati”. Ci sono 13 milioni di cittadini (su 44 milioni di abitanti) che si sono spostati all’interno dell’Ucraina, ma non hanno lasciato il Paese. I centri di accoglienza Unhcr, qui, sono diventati 182.

La sessantenne Iryna, fuggita da un rifugio di Kharkhiv con il marito, la figlia, il genero e due nipoti, ora vive nel dormitorio dell’Accademia statale di Educazione fisica e Sport. Non possono permettersi un appartamento in affitto. Spiega Iryna: “Tutti vogliamo tornare a casa, ma Kharkiv è ancora una zona pericolosa. Uno dei miei nipoti ha iniziato ad avere reazioni neurologiche allo stress: mostra tic nervosi che gli deformano il viso”.

L’Unhcr sta potenziando i programmi che aiuteranno le persone a riparare tetti, finestre, porte e buchi nei muri delle case danneggiate. Negli oblast di Donetsk e Luhansk e in alcune zone intorno a Kiev ha fornito kit di emergenza a 24.300 famiglie per impedire alla pioggia di entrare dai tetti.

Il segno del carattere ucraino, che spiega anche la resistenza militare in questa guerra difensiva, lo segnala il fatto che dal 24 febbraio al 3 giugno nel Paese sono nati 48.000 bambini. La maggior parte è stata registrata nelle regioni di Leopoli, Dnipropetrovsk e Odessa. Il sogno di Volodymyr Zelensky è quello di far ripartire il calcio nazionale - maschile e femminile - il prossimo agosto: ha appena dato il suo via libera al progetto della federazione calcio ucraina. Il suo presidente, Andriy Pavelko, ha spiegato di aver illustrato la questione ai vertici di Fifa e Uefa.