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di Franco Corleone

Messaggero Veneto, 14 febbraio 2024

I detenuti si sentono soli e abbandonati, per questo chiedono di incontrare e parlare con chiunque sia disponibile ad ascoltare senza giudicare. Compilano un modello (una volta si chiamava domandina) indirizzato alle associazioni di volontariato, al garante, alle educatrici, alla direttrice e alla comandante. Sono messaggi dal pozzo, da un buco nero, da un luogo senza luce e senza speranza. Un non luogo.

Sabato pomeriggio sono stato in Via Spalato con Roberta Casco, la presidente di Icaro, per corrispondere alle tante richieste di colloquio. L’associazione di volontariato legata al nome di Maurizio Battistutta mostra un andamento esponenziale di incontri realizzati, ben 647 nel 2023, il doppio dei due anni precedenti.

Va fatto uno sforzo per capire i motivi di questa esigenza che impone una responsabilità per offrire soluzioni o almeno una prova di interesse e di tentativo per cucire relazioni.

Ero stato facile profeta a fine anno a prevedere un disastro che si è realizzato in questo inizio del 2024. Siamo giunti a una presenza fuori controllo con 60.637 detenuti e 16 suicidi in Italia; in Friuli rispetto a una capienza di 475 posti le presenze sono 650 e a Udine la capienza è di 86 posti e le presenze sono ben 145.

Più della metà sono stranieri con problematiche non semplici, 50 sono in attesa di primo giudizio, 36 sono condannati per violazione dell’art. 73 della legge antidroga per detenzione o piccolo spaccio a cui vanno aggiunti 48 classificati come tossicodipendenti, 18 come alcoldipendenti e 9 come psichiatrici. Un quadro impressionante, ma la cosa che mi colpisce di più è che 19 persone finiranno la pena nei prossimi mesi, 18 nel 2025 e 22 nel 2026; il totale riguarda 59 soggetti che potrebbero godere di misure alternative e invece sono destinate a marcire fino all’ultimo giorno di pena con la probabilità di un inevitabile incattivimento e con un destino certo di recidiva.

Che fare? Arrendersi in attesa del diluvio o mettere in atto le cose che sappiamo necessarie? Almeno dal 1949 quando fu pubblicato un numero speciale della rivista Il Ponte diretta da Piero Calamandrei con analisi e proposte degli antifascisti che avevano conosciuto il carcere fascista. Si dovette aspettare la riforma dell’Ordinamento penitenziario nel 1975 e poi la legge Gozzini nel 1986 per alimentare le illusioni. Poi venne la stagione riformatrice tra il 1996 e il 2001 con l’approvazione della legge Smuraglia sul lavoro, quella sulle detenute madri, quella incompatibilità dei malati di Aids e altre gravi patologia e la legge Simeone-Saraceni per eliminare disparità di classe nell’accesso a possibili misure alternative e soprattutto del nuovo Regolamento di esecuzione della riforma del 2000, in gran parte ancora non applicato.

Certo nel disastro degli anni successivi abbiamo avuto il passaggio della sanità penitenziaria al Servizio sanitario nazionale per garantire stessi diritti a liberi e reclusi, poi la sentenza Torregiani per dare dignità alla vita quotidiana in carcere e la legge sulla tortura e poi ancora la chiusura degli Opg, gli orrendi manicomi giudiziari e infine il 26 gennaio la Corte costituzionale ha stabilito l’incostituzionalità della norma che prevedeva il controllo visivo nei colloqui e quindi ha affermato il diritto alla affettività e a colloqui con la caratteristica della riservatezza. Un diritto immediatamente esigibile.

A Udine grazie alla ristrutturazione in atto questa sentenza rivoluzionaria potrà trovare realizzazione.

Torno al quadro di disperazione che è emerso dagli incontri. Viene denunciato il malfunzionamento del servizio sanitario, i ritardi nelle sintesi per accedere alle misure alternative, i dinieghi dei permessi premio, la negazione di telefonate con la compagna, le piccole angherie, le violenze tra detenuti, la convivenza difficile, la mancanza di lavoro, le famiglie disgregate e i figli piccoli abbandonati.

Ci sono responsabilità ma l’elemento più angosciante è l’assuefazione alla realtà che si ritiene immodificabile. Io non mi rassegno e non voglio essere complice neppure per omissione. Chiederò fino a che avrò voce che siano applicate le leggi e rispettati i diritti civili e sociali. La Costituzione indica la strada e non può essere ridotta a carta straccia. A fine ottobre ho indicato all’assessore Riccardi dieci punti puntuali per garantire l’articolo 32 che definisce la salute un diritto fondamentale: non ho avuto risposta. È un piccolo scandalo e sono costretto a iniziare nei prossimi giorni un digiuno con l’unico scopo di ricordarmi che occorre mettersi in gioco fino in fondo, anima e corpo. Per stare dalla parte degli ultimi e dell’umanità.